I veri guai della sinistra spagnola
Perché sarà il secessionismo catalano a rompere il Psoe di Pedro Sánchez
Pedro Sánchez festeggia la sua vittoria, si appella alla militanza e punta a una rigenerazione del Psoe, ma il suo disegno appare di assai ardua realizzazione. Non è tanto la svolta a sinistra o la rottamazione delle vecchie glorie, da Felipe Gonzalez a José Luis Zapatero, che si erano schierate contro di lui a ostacolarlo. Anche i leader territoriali si acconceranno al suo ritorno alla guida del partito, una formazione che peraltro, a differenza degli altri partiti socialisti europei, non ha tradizione di scissioni. Il vero punto critico sta nell’ampiezza delle alleanze che Sánchez vuole raggruppare attorno al suo disegno di scalata alla presidenza del governo. Oltre agli “indignados” di Podemos, che contendono al Psoe la leadership della sinistra, nel raggruppamento del “no è no” a Rajoy devono trovare posto anche le formazioni secessioniste catalane, che proprio in questi giorni hanno reso noto l’intento di proclamare unilateralmente l’indipendenza se non sarà accettato il referendum che intendono indire per l’autunno. Su questo punto, l’unità dello stato spagnolo, nel Psoe ci sono opinioni fermissime.
Far saltare il governo nazionale nel momento in cui è sottoposto a questa sfida e per giunta allearsi con i partiti catalani che ne sono gli artefici è una strada che settori non secondari del socialismo spagnolo non percorreranno mai. Finché si trattava di sottigliezze linguistiche, di parlare di nazioni spagnole al plurale, o di disegni fumosi di stato federale il confronto poteva essere contenuto. Se si passerà ai fatti, cioè a far cadere il governo nazionale per impedirgli di reagire a una secessione unilaterale e anticostituzionale, non basteranno i pochi voti di maggioranza ottenuti da Sánchez nella consultazione degli iscritti a tacitare gli oppositori.
L'editoriale dell'elefantino