A Marawi l'esercito filippino continua la guerra all'Isis
Più del 90 per cento degli abitanti della città sono fuggiti. Uccisi più di 60 jihadisti, 20 militari e 19 civili. Le immagini dell'operazione di Duterte contro i Maute
Nella città di Marawi, sull’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine, da una settimana continuano gli scontri tra i miliziani affiliati allo Stato islamico e l’esercito filippino. I soldati del presidente Rodrigo Duterte stanno cercando, con l'artiglieria e con attacchi aerei, di strappare ai jihadisti i quartieri della città sui quali hanno issato la bandiera nera dello Stato Islamico. Almeno 2 mila i residenti ancora intrappolati nelle zone contese. I servizi di polizia e di sicurezza hanno imposto il coprifuoco notturno e hanno aumentato la loro presenza a Marawi.
Gli scontri erano cominciati martedì scorso, 23 maggio, quando l''esercito filippino ha tentato di catturare Isnilon Hapilon, leader islamico estremista sulla cui testa l'Fbi ha messo una taglia da 5 milioni di dollari. Attaccati dalle forze governative, Hapilon e più di una dozzina dei suoi uomini hanno trovato il sostegno dei militanti armati del gruppo islamista Maute, che ha giurato fedeltà al califfo, e in circa 50 sono riusciti ad entrare nella città. I jihadisti hanno lanciato un assedio, conquistato un pezzo della città di Marawi decapitato un capo della polizia, dato fuoco ad alcuni edifici, preso in ostaggio un prete cattolico e diversi fedeli e issato una bandiera dell’Isis.
Più del 90 per cento dei 200.000 abitanti della città sono fuggiti in seguito a violenti scontri in strada e ai raid aerei condotti con gli elicotteri dalle forze regolari di Manila. Molti si sono trasferiti a Iligan City, a 38 chilometri a nord, dove le autorità hanno attuato un coprifuoco dalle 22 alle 4 del mattino. Secondo dati forniti dall'esercito, sono stati uccisi finora più di 60 jihadisti, mentre ci sono state 20 vittime tra i militari e 19 tra i civili, compresi donne e bambini.
Il presidente Duterte, che ha proclamato la legge marziale in tutta Mindanao, ha detto alle truppe che li proteggerà se commettono abusi durante il conflitto e ha sollevato così le proteste di attivisti di diritti umani e dell'opposizione politica. Il presidente filippino, sin dal suo insediamento, è impegnato in una sanguinosa repressione del narcotraffico. Gli squadroni della morte di Duterte avrebbero ucciso decine di migliaia di persone tra quelle legate al traffico di stupefacenti e semplici utilizzatori.
Nel febbraio scorso era stata arrestata a Manila Leila de Lima, senatrice ed ex funzionaria dei diritti umani, considerata il volto dell’opposizione ai “metodi squadristi” dell’Amministrazione al governo. Da anni De Lima denunciava le violazioni dei diritti umani da parte di Duterte, compresa la sua “guerra alla droga”, testimoniata dalla maggior parte delle testate internazionali, e le esecuzioni sommarie che non sono state mai smentite nemmeno dallo stesso presidente.