La guerra mondiale in Siria
Con l’Isis più debole, gli interessi divergenti dei paesi coinvolti sono pericolosi
Ieri l’Australia ha sospeso le sue operazioni militari in Siria all’interno della coalizione internazionale che combatte contro lo Stato islamico. “E’ una misura precauzionale”, ha detto il ministero della Difesa australiano, ma intanto i sei jet che fanno base negli Emirati sono rimasti fermi. Da quando gli americani domenica hanno abbattuto un aereo del regime siriano nei pressi di Taqba, a est di Raqqa, l’espressione “escalation drammatica” è sulla bocca di tutti: la Russia ha minacciato di colpire i velivoli ostili e ha sospeso la hotline aperta con gli americani che permette di collaborare – o meglio di evitarsi, per non incappare in incidenti – nella cosiddetta “deconfliction zone”. Gli americani ridimensionano, dicono che le comunicazioni con la Russia non sono state sospese – e che i russi erano stati avvertiti – e che l’obiettivo comune è quello di rispettare le regole della deconfliction. Ma sono fermi su un punto: devono difendere le loro forze sul campo, come al confine con la Giordania, dove è stato abbattuto un drone del regime proprio ieri. I jet siriani avevano colpito con due bombardamenti l’Sfd, le forze alleate della coalizione internazionale, ed è per questo che l’America ha deciso di abbattere il Su-22 siriano: “Il regime voleva chiaramente testare la volontà degli Stati Uniti di difendere i propri alleati sul terreno”, scrive il Wall Street Journal. Poco lontano dalla zona dell’incidente c’è Raqqa, l’ormai ex capitale dell’Isis in Siria, e tutti sanno che la città ha le ore contate, e questo scontro fa parte della fase due: chi controllerà questa zona?
La guerra siriana ha da sempre i contorni di una guerra mondiale, e ora che l’Isis è più debole gli interessi divergenti degli attori in campo sono ancora più evidenti: Assad vuole il controllo di tutta la Siria, non certo un paese spezzettato in aree alauite, sunnite e curde. L’Iran sta cercando di creare un corridoio d’influenza che va da Teheran a Beirut. La Russia protegge il porto sul Mediterraneo e vuole dimostrare di essere un alleato di cui fidarsi. Nessuno di questi obiettivi coincide con quelli degli americani, che pagano ancora lo sciagurato disimpegno obamiano e navigano a vista con Trump. Il quale ora deve riconsiderare le sue opzioni, che comprendono anche la no-fly zone che nessuno ha voluto stabilire. Nessuno, né Russia né America, vuole un’escalation, ma se poi dovesse succedere, quel che manca all’America è un obiettivo chiaro. Non c’è nulla di peggio di una guerra di questa portata in cui non sai cosa vuoi ottenere.