Il trumpismo davanti alla Corte
I giudici salvano per ora un po’ del travel ban. I rischi della sentenza futura
La Corte Suprema americana ieri ha deciso di volersi pronunciare su due questioni controverse e soprattutto cruciali per il trumpismo: il futuro del “travel ban” e il caso di un pasticcere del Colorado che si è rifiutato di preparare una torta nuziale per un matrimonio fra omosessuali. Il “travel ban” è stato introdotto dall’Amministrazione Trump, tramite decreto esecutivo (cioè: entra subito in vigore), all’inizio della presidenza, prevedeva il blocco per 90 giorni degli ingressi negli Stati Uniti di persone provenienti da sei paesi a maggioranza musulmana e la sospensione per 120 giorni del programma di accoglienza dei rifugiati. Fu subito bloccato da due corti federali, per due ragioni diverse che però si possono sintetizzare in: è discriminatorio. In attesa del pronunciamento (la data non è fissata, al più presto a ottobre), la Corte ha deciso, su richiesta dell’Amministrazione, di rimuovere in parte la sospensione del “travel ban”, che tra 72 ore tornerà in vigore per tutti i cittadini che provengono da quei sei paesi salvo per chi dimostra di avere una “relazione legittima” con persone, società o istituzioni negli Stati Uniti. Il “travel ban” quindi ora torna in vigore, e subito Trump si è avventato su quella che ha descritto come una “chiara vittoria per la nostra sicurezza nazionale”. La Corte stabilirà se la misura è destinata a sopravvivere, e se dunque sarà davvero una vittoria per Trump. Il caso del pasticcere del Colorado, invece, tocca il cuore della disputa sulla libertà religiosa che negli anni di Obama ha infiammato le comunità cristiane d’America. Alcune di queste hanno votato per Trump principalmente – o esclusivamente – per la nomina di un giudice conservatore alla Corte suprema. La scelta di Neil Gorsuch ha soddisfatto tutti sulla carta: ora si passa ai fatti.