Gop e Trump, la faida infinita
I limiti della Casa Bianca si svelano nelle divergenze sulla riforma della sanità
Il voto sulla riforma sanitaria americana è slittato, al Senato non c’erano i numeri e il consenso e così si è pensato che fosse meglio attendere. La chiamano “la resistenza dell’Obamacare”, come se quella riforma “storica” e contestata (anche dai democratici) vivesse di vita propria, e si gettasse armi in pugno contro i tentativi trumpiani di metterla nell’armadio. In realtà ancora una volta lo scontro in corso è un regolamento di conti interno al Partito repubblicano, che ha sulla carta un potere enorme, ma che è lacerato da faide che hanno spesso a che fare con il presidente Trump, ma non solo.
Mitch McConnell, Cory Gardner, John Barrasso, John Cornyn (foto LaPresse)
Il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, l’uomo del momento pur se non per le ragioni che si era augurato, pensava un mese fa che il suo lavoro sarebbe stato facile: ha la maggioranza, ha a che fare con una legge che i conservatori detestano in modo piuttosto compatto e da molto tempo, che problema c’è? Moderati e falchi si uniranno, ha pensato McConnell, e tutto andrà liscio: ma il suo calcolo era errato e ora i commentatori si aspettano un’estate di battaglia politica sull’Obamacare. In realtà il lavoro del senatore del Kentucky era tutt’altro che semplice: deve ripararsi dagli intransigenti, convincere i moderati (che vogliono altre modifiche al testo di legge prima di spingersi a un voto) e soprattutto tenere a bada Trump e il suo istinto a intromettersi a ogni passo, complicando ancor più le cose. Mentre le richieste dei senatori si accatastavano sulla scrivania di McConnell, dalla Casa Bianca arrivavano tentativi maldestri di punizione per i “riottosi”: colpirli durissimo a suon di sputtanamenti tv, così si quietano.
McConnell ha fermato le ire trumpiane, ma intanto ha perso l’attimo per incassare un voto che avrebbe risollevato gli animi abbacchiati dei repubblicani. Non solo: nel frattempo sono saltate tutte le regole al Congresso, ognuno fa per sé, ognuno obbedisce alla propria agenda elettorale (ci sono le mid-term l’anno prossimo, chi rischia il seggio non bada alle formalità di cortesia partitica), ognuno si muove più per salvarsi e ricavarsi un’autonomia rispetto all’altalena trumpiana, con il risultato che un partito che ha maggioranza alla Camera, al Senato, alla Casa Bianca e giudici supremi da nominare non riesce a sfruttare nemmeno un attimo il proprio vantaggio.
I conservatori inglesi