I rischi del nuovo ordine mondiale
Liu Xiaobo, il mar Cinese, la Corea. La Cina ormai gioca con le sue regole
La tiepida risposta internazionale che ha avuto la decisione cinese di non rilasciare il premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo prima che morisse – è la prima volta dal 1939 che un dissidente insignito del premio Nobel viene lasciato morire da detenuto – ci dice qualcosa di più sulla Cina e sui giochi di forza tra grandi potenze. Basta guardare al quadro d’insieme. Benché un tribunale internazionale abbia sancito che le rivendicazioni di Pechino sul mar Cinese meridionale siano illegittime, la Cina continua a militarizzare l’area sin dal 2010, pressoché indisturbata. Ogni tanto l’America invia i bombardieri a sorvolare l’area dove Pechino ha costruito le isole artificiali, ma poco importa: sono missioni di ricognizione, show di forza utili a far uscire qualche notizia sui giornali, ma niente di determinante. Poi c’è l’altra questione fondamentale, la Corea del nord. Sin dal suo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump si aspettava che fossero i cinesi a risolvere l’impasse con Pyongyang. L’ha scritto spesso, anche su Twitter, mostrando il suo debole per un leader forte come il presidente cinese Xi Jinping. Il fatto è che la Cina da sempre ha un atteggiamento ambivalente nei confronti della Corea del nord: per ottemperare alle ultime sanzioni internazionali, lo scorso anno ha smesso di comprare carbone da Pyongyang, ma gli scambi commerciali tra i due paesi sono in costante aumento. Un funzionario del governo cinese ha detto due giorni fa che il business totale tra Cina e Corea del nord nei primi sei mesi del 2017 è arrivato a 2.6 miliardi di dollari, in aumento del 10 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016. Sono calate del 13 per cento le importazioni cinesi dalla Corea del nord, ma le esportazioni sono aumentate del 30 per cento. Tutto questo viola le sanzioni delle Nazioni Unite? Probabilmente no, come dice Pechino. E secondo alcuni analisti, è anche giusto che qualcuno continui a dialogare, quantomeno nel business, con l’isolatissima Corea del nord. Ma c’è un problema: ritirarsi dalle grandi questioni internazionali, e lasciare campo libero alla Cina, significa giocare con le regole imposte da Pechino. E non è detto che questo porti davvero a un globalismo virtuoso.
Dalle piazze ai palazzi