La rivolta anti Corbyn sul Venezuela
Il leader laburista twitta su tutto tranne che sul suo amico Maduro
Il leader del partito laburista britannico, Jeremy Corbyn, affronta in questi giorni l’ennesima rivolta dentro al suo partito – questa volta non per qualche dichiarazione incendiaria, ma per un silenzio. Da giorni, Corbyn twitta giulivo sulla nazionale inglese di calcio femminile, ma non proferisce parola sulla crisi in Venezuela, sui morti, sui brogli elettorali e su un governo tirannico che dopo aver messo in ginocchio l’economia di un paese adesso vuole soggiogarlo definitivamente. Corbyn non ha detto una parola sui manifestanti uccisi dalle squadracce chaviste, sugli arresti dei rappresentanti dell’opposizione, sul Parlamento legittimamente eletto esautorato di ogni potere, sul fatto che l’agenzia cui è affidata la sicurezza dei dati elettorali ha detto che l’affluenza del voto di domenica è frutto di brogli, sul fatto che ormai ogni paese democratico del mondo ha condannato la discesa di Caracas nella tirannia. Questo silenzio imbarazza la gran maggioranza dei parlamentari laburisti, che protesta e strepita, ma trova facili giustificazioni: da sempre Corbyn è un sostenitore del regime socialista prima di Chávez e poi di Maduro, e il leader socialista ancora bel 2015 applaudiva il tiranno venezuelano per la sua lotta “contro il capitalismo”. I silenzi di Corbyn sono gli stessi dei fautori nostrani dell’“emergenza democratica”, muti quando una democrazia è davvero ridotta all’autoritarismo. Eppure, questi silenzi sono quasi un segno benaugurante se paragonati al sinistrorso francese Jean-Luc Mélenchon, che all’indomani del voto venezuelano, con i morti ancora in strada, ha twittato che “il Venezuela bolivariano è una fonte di ispirazione”.