Il Ruanda alla prova di Kagame
Il dilemma morale di un tiranno che ha fatto fiorire l’economia
Un paio di giorni fa il New York Times ha inquadrato così la questione del Ruanda, che ieri è tornato al voto per la terza volta a 23 anni dal genocidio: l’autoritarismo del presidente Paul Kagame è tollerato dalla comunità internazionale perché controbilanciato da prosperità e crescita economica. Ma questo è davvero un bene per i ruandesi? Per molti versi, il Ruanda è un paese trasfigurato rispetto a quando Kagame è salito al potere come capo della guerriglia Tutsi che ha posto fine al genocidio. Dal 2000 l’economia è cresciuta in media di un 7,8 per cento all’anno. La percentuale di popolazione in stato di povertà è calata dal 57 per cento del 2006 al 40 per cento del 2014. Le diseguaglianze si sono ridotte, il paese ha dei programmi-modello di educazione e sanità pubblica e il suo Parlamento vanta la maggior percentuale di donne al mondo (56 per cento). Al tempo stesso, il Ruanda di Kagame è uno stato di polizia tirannico.
Il risultato del voto di ieri non è mai stato in dubbio, dopo che Kagame ha fatto arrestare o dichiarare ineleggibili i suoi oppositori più credibili. Il presidente ha ottenuto di correre per un terzo mandato contro il volere della Costituzione dopo un referendum in odore di brogli (98 per cento i cittadini favorevoli), e tutto fa pensare che si prepari a governare almeno fino al 2034: quarant’anni esatti. Il regime è sanguinario con i suoi oppositori: solo di recente un ex capo dell’intelligence è stato trovato strangolato in Sudafrica e un ministro dell’Interno caduto in disgrazia è stato assassinato in Kenya. Secondo l’Economist, in Ruanda c’è meno libertà di parola che in ogni altro paese dell’Africa, eccetto l’Eritrea – e il record è notevole, contando le eccellenti dittature di cui il paese è circondato. La comunità internazionale, anche a causa degli enormi finanziamenti che i paesi dell’occidente hanno affidato al governo Kagame, continua a elogiare la ritrovata stabilità del Ruanda. I numeri le danno ragione, ma ci sono tutti i sintomi di una situazione che rischia di diventare esplosiva. Lo stesso Kagame, in tempi non sospetti, disse che “se nel 2017 non sarò riuscito a creare le condizioni perché il Ruanda continui a prosperare anche dopo di me, sarà un fallimento”. Ecco.
I conservatori inglesi