Calma e sangue freddo, la dottrina di Putin in Corea
Il presidente russo boccia la strategia di Stati Uniti ed Europa sulle sanzioni. "Sono inutili, i nordcoreani mangerebbero l'erba piuttosto di abbandonare il nucleare"
"I nordcoreani mangerebbero l'erba piuttosto che abbandonare il loro programma nucleare". Il presidente russo Vladimir Putin boccia la dottrina delle sanzioni nei confronti di Pyongyang, sostenuta invece da americani e sudcoreani. Una strategia "inutile", l'ha definita il capo del Cremlino, che si trova in questi giorni a Xiamen, in Cina, per partecipare al vertice dei paesi delle economie emergenti Brics (che include anche Cina, India, Brasile e Sud Africa). Le restrizioni commerciali e finanziarie potrebbero alimentare, piuttosto che sopire, quella che Putin ha definito "un'isteria militare", capace di condurre verso una catastrofe globale.
E in effetti, dal test della bomba all'idrogeno di domenica scorsa, le reazioni più allarmanti sulla crisi nel Pacifico sono partite proprio da Stati Uniti ed Europa. Oltre al presidente americano Donald Trump, che ha ripetuto ancora una volta che il dialogo non basta a placare le aspirazioni nucleari di Kim, oggi sono arrivate altre dichiarazioni preoccupate dalla Francia. Il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian ha ricordato che l'arma nucleare di Pyongyang potrebbe anche colpire l'Europa, non solo l'Asia e l'America del nord. Ma la ricetta dell'occidente per la risoluzione della crisi del Pacifico resta quella delle sanzioni, senza alternative. Una posizione condivisa da tutta l'Ue e sintetizzata ieri anche in un comunicato dall'Altro rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini. I maggiori sponsor europei delle misure restrittive contro la Corea del nord – che allo stato attuale prevedono già forti limitazioni a investimenti ed esportazioni – sono Francia, Germania e Italia. Merkel, Macron e Gentiloni sono d'accordo sulla necessità di aumentare la pressione su Kim Jon-un, come ribadito in una telefonata che hanno avuto i tre subito dopo il test nordcoreano di domenica.
Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di ieri, l'ambasciatore americano Nikki Haley ha annunciato che è allo studio una nuova risoluzione che prevede sanzioni ulteriori ai danni di Pyongyang. "Stanno implorando una guerra", ha detto Haley riferendosi alle provocazioni di Kim. "Noi non la vogliamo ma la pazienza del nostro paese ha un limite", ha aggiunto. Eppure, la strategia pervicace del regime nordcoreano ha permesso all'ambasciatore nordcoreano alle Nazioni Unite, Han Tae-song, di usare un linguaggio sfrontato nei confronti degli americani: quelle di domenica, ha detto Han, sono "misure di auto-difesa", ovvero un "pacco regalo spedito agli Stati Uniti". "Ne riceveranno altri", ha aggiunto l'ambasciatore di Kim, "almeno fino a quando l'America insisterà con le provocazioni e gli inutili tentativi di metterci pressione".
Una disinvoltura che sembra dare ragione a Putin, quando afferma che l'intenzione del regime è quella di perseverare sulla strada del programma nucleare con l'obiettivo di trarne vantaggio quando deciderà di tornare a sedersi al tavolo dei negoziati (il Foglio ha scritto qui della tattica vincente di Kim). Per il presidente russo, la Corea non si fermerà finché non le sarà garantita sicurezza. "E cosa può assicurarle sicurezza? Il rispetto del diritto internazionale. Dovremmo promuovere il dialogo tra tutte le parti interessate", ha detto Putin. "Le sanzioni sono logorate", ha aggiunto, e implicano "un aspetto umanitario" che peserebbe esclusivamente su milioni di cittadini nordcoreani. Schierandosi al fianco dell'alleato cinese ("Non permetteremo mai il caos e la guerra nella penisola", ha fatto eco ieri l'inviato di Pechino alle Nazioni Unite), Putin ha aggiunto che "non c'è altra strada se non quella della pace". Ma nei fatti, la Corea del sud ha raccolto le provocazioni nordcoreane degli ultimi giorni: le esercitazioni missilistiche sono sempre più frequenti e presto Seul aumenterà il suo arsenale di missili americani Thaad nell'area di Seongju, a sud della capitale.
L'editoriale dell'elefantino