La gestione acrobatica del dossier libico
Nel suq fra Tripoli e Bengasi, il primo che perde l’aplomb è fregato
Non si sa se il paese ha capito lo schema vertiginoso seguito dal governo italiano, che in questi mesi a dispetto di tutto sta continuando a “governare l’instabilità libica”, che è un eufemismo per un esercizio di acrobazia circense che sfida le legge della gravità e della geopolitica. Riassumiamo. Ieri il Pentagono ha annunciato che due giorni fa i suoi aerei [sono decollati dalla Sicilia, questo non l’ha detto, e] hanno bombardato un campo dello Stato islamico in Libia: tanto per ricordare qual è il prezzo che si pagherà se la Libia scivola ancora verso l’instabilità. Intanto il ministro Alfano era a Tripoli e il generale di Bengasi, Khalifa Haftar, era a Roma, per un nuovo episodio di questa triangolazione infinita fra Italia, Tripolitania e Cirenaica. Haftar vuole intromettersi nel grande accordo sull’immigrazione sponsorizzato e pagato dall’Italia, grazie al quale a partire da luglio i libici di Tripoli stanno bloccando le partenze dei barconi.
Questa è l’offerta del generale: dateci elicotteri, droni, veicoli militari, visori notturni, toglieteci l’embargo sulle armi e penseremo noi a tagliare la rotta del traffico di uomini. Haftar è lo stesso che un mese fa ha minacciato di bombardare le navi italiane arrivate a Tripoli per aiutare il governo locale nelle operazioni contro i trafficanti, e adesso è ricevuto a Roma come un vecchio amico, a dimostrazione dell’aplomb che l’Italia ha scelto come linea strategica. Nel suq, il primo che batte ciglio oppure s’innervosisce ha perso il negoziato. Il generalissimo di Bengasi vuole cacciare il governo di Serraj da Tripoli – che però è difeso dall’Italia – e in questi giorni ha segnalato la sua disponibilità a dare manforte a quelle milizie che stanno cacciando dalla costa le milizie alleate dell’Italia. Eppure, anche se si comporta in modo così ostile, ha appena annunciato che i suoi soldati “saranno addestrati in Italia”, grazie a un accordo negoziato in questa visita a Roma. Insomma, il vecchio detto “un colpo al cerchio e uno alla botte” va aggiornato e moltiplicato, in Libia stiamo tentando di tenere buoni tutti quanti e pure di tenere i cattivi sotto schiaffo. Fino a quando riusciremo in questo esercizio acrobatico, per ora non possiamo saperlo.