Cina, occhio al Congresso
La Cina vuole essere un’alternativa all’occidente, e già riempie i nostri vuoti
I giochi di potere si fanno sempre più evidenti, in Cina, dove tra una settimana esatta andrà in scena il diciannovesimo Congresso del Partito comunista, il più importante momento politico della potenza asiatica, che si celebra ogni cinque anni. Non solo: cinque dei sette membri del Comitato permanente andranno in pensione e dovrebbero essere sostituiti, e così, durante il Congresso, si capirà chi saranno i funzionari che faranno muovere la macchina politica cinese per i prossimi cinque anni. Impossibile capire dove porterà il consolidamento del potere del presidente Xi Jinping, che inizierà così il suo secondo mandato e non ha ancora presentato al mondo il suo possibile successore. Per ora abbiamo assistito ad allontanamenti ed epurazioni in una stretta anti corruzione iniziata da Xi e propedeutica al Congresso. I due epurati più recenti (ed eccellenti) sono i generali Fang Fenghui e Zhang Yang. Fenghui, in particolare, era il corrispettivo cinese del capo delle Forze armate americano Joseph Dunford, e con lui aveva lavorato fino a poco tempo fa per riaprire una collaborazione d’intelligence tra Washington e Pechino sulla crisi nordcoreana.
Il reale motivo del suo allontanamento, però, è solo oggetto di speculazioni. Mai come in questo quinquennio quel che succede a Pechino influenzerà le sorti del mondo: dopo l’arrivo di Donald Trump e del suo America First alla Casa Bianca, la Cina ha consolidato il suo potere all’estero, tra finanziamenti e soft power – basti pensare, per esempio, che il mondo accademico già da tempo cerca di prendere le misure all’influenza della propaganda cinese nel settore della ricerca. Secondo Trump la questione nordcoreana è nelle mani cinesi, ma è la stessa Cina che con la sua assertività mette in pericolo la stabilità del mar Cinese meridionale. E poi c’è la nuova Via della seta: sempre più paesi asiatici stanno cercando di entrare nella sfera d’influenza cinese, considerata oggi più sicura di quella americana. Come scriveva ieri il South China Morning Post, Pechino ormai non vuole più essere un altro occidente, ma diventare una vera alternativa all’occidente. Basta saperlo e riflettere sulle conseguenze.
L'editoriale dell'elefantino