Sbirciare il congresso di Xi per capire la Cina che verrà
Politica, economia, sicurezza e alleanze. Si apre oggi il diciannovesimo conclave del Partito comunista. No, non è uguale a tutti gli altri, anche perché il mondo intanto si è un po’ capovolto
Il compianto sinologo Simon Leys scrisse quasi tre decenni fa che studiare i movimenti della burocrazia comunista era “l’arte di interpretare iscrizioni che non esistono scritte con inchiostro invisibile su una pagina bianca”. Qui non azzarderemo che poche previsioni, ma cercheremo di rendere chiaro cosa potrebbe succedere, e perché.
Per la Cina, seconda economia mondiale, i prossimi cinque anni saranno determinanti per realizzare il sogno di un sistema economico sano e stabile, capace di aprirsi al mercato globale lasciando il controllo di finanza e investimenti a Pechino. Chi costruirà, letteralmente, l’economia cinese e l’agenda fino al terzo plenum economico del Partito dell’autunno 2018?
Giulia Pompili spiega la crisi e le speranze dell'economia di Pechino.
La leadership cinese è fatta di uomini in divisa. Per questo quando il capo delle Forze armate viene silurato è un segnale potente del fatto che tutto il Partito si sta muovendo. La direzione è quella decisa dal segretario generale Xi Jinping, che intende usare il Congresso per rafforzare il suo controllo politico sull’esercito.
Così Xi Jinping rafforza la sua presa sull'esercito.
Tutti gli analisti sono concordi nel dire che in questi cinque anni di governo di Xi Jinping il livello della censura online e della sorveglianza governativa è peggiorato, e di molto. In pochi se lo aspettavano nel 2012, quando Xi fu presentato al mondo come un leader riformatore che avrebbe mantenuto la Cina nella strada di sempre maggiore apertura economica e, in parte, politica intrapresa dai suoi predecessori. Durante tutta l’epoca di Jiang Zemin e poi di Hu Jintao, gli osservatori commentavano positivamente che non era in questione se la Cina si sarebbe infine avvicinata al modello politico e sociale dell’occidente, ma quando lo avrebbe fatto. Xi Jinping in soli cinque anni ha rovesciato tutte queste speranze.
I rapporti diplomatici tra Cina, Giappone e l’America. Li spiega il giornalista australiano Richard McGregor in “Asia’s Reckoning”, volume di recente pubblicazione per Penguin. La presenza americana nel Pacifico, scrive McGregor, è una scelta ponderata e legata agli interessi strategici di Washington. La presenza cinese, invece, è una questione di “realtà geopolitica”. Vale a dire: non possiamo considerare l’Asia senza tenere in considerazione l’influenza di Pechino nell’area.
Nel suo primo mandato, Xi Jinping qualche segnale a Roma l’ha mandato, dallo scambio di telegrammi con Francesco al permesso concesso all’aereo papale diretto in Corea del sud di sorvolare il territorio cinese. Il Pontefice ha ricambiato con commenti positivi riguardo Pechino, tralasciando i temi più controversi e mettendo in luce il ruolo positivo della Cina per l’umanità. E’ la politica dei piccoli passi, portata avanti dalla diplomazia vaticana guidata da Pietro Parolin, che di questioni cinesi s’intende come nessun altro nei pressi di San Pietro. Il Papa, da par suo, più volte ha mostrato interesse di ristabilire un rapporto con il paese asiatico, interrotto da più di mezzo secolo.
Matteo Matzuzzi racconta la diplomazia vaticana in Cina.
Steve Bannon non è più il chief strategist della Casa Bianca, e dunque non è più il consigliere politico di Donald Trump, ma sostiene di continuare ad aiutare la causa trumpiana anche a distanza. E continua a dedicare gran parte del suo tempo a combattere ciò che ritiene una “guerra economica” contro la Cina, come ha spiegato all’American Prospect subito dopo aver lasciato il suo incarico a Washington. E’ per questo che, come riporta il Financial Times, la sua attività internazionale non è cessata.