Tutti i faccendieri del presidente
La parabola di Carter Page da consulente sconosciuto a emissario di Trump
Nella testimonianza alla commissione Intelligence della Camera resa pubblica lunedì, Carter Page ha cambiato versione sui suoi traffici russi nel contesto della campagna elettorale di Donald Trump. Il consulente petrolifero che allora era consigliere volontario di Trump ha spiegato ai deputati che il manager della campagna, Corey Lewandowski, sapeva del famoso viaggio a luglio del 2016 nel quale ha incontrato anche il vice primo ministro, Arkady Dvorkovich, e gli aveva dato il permesso di andare, ma non nella veste ufficiale di affiliato di Trump. Non è chiaro dunque in quale veste questo faccendiere di simpatie putiniane che aveva vissuto a Mosca ma era sostanzialmente sconosciuto nel mondo degli affari della capitale russa abbia potuto assicurarsi incontri di tale livello. Anche Hope Hicks, ha detto Carter, era stata informata, e la direttrice della Comunicazione della Casa Bianca verrà sentita dagli investigatori dello special counsel, Robert Mueller, appena sarà rientrata dalla missione asiatica del presidente.
Quello che si legge nella trascrizione di oltre sei ore di accesa conversazione – il tono aspro si coglie anche nero su bianco – è un cambiamento significativo rispetto alla versione precedente dei fatti. Page, uno dei nodi centrali di tutto l’affaire russo, ha sempre detto di avere intrattenuto rapporti con politici e uomini dell’energia in Russia a titolo personale, Trump lo ha liquidato come un “membro di basso livello” della campagna, mentre ora emergono tracce di coordinamento e scambio di informazioni prima e dopo i vari meeting. Una email notevole che ha inviato al tempo ai responsabili della campagna è venuta fuori soltanto ora, nonostante lui abbia negato la sua esistenza anche dopo che l’Fbi gli ha presentato un mandato: in questa “ha dettagliato i suoi incontri con i funzionari del governo russo e altri, e ha detto che gli hanno fornito dettagli e connessioni che sarebbe stato interessato a discutere con la campagna elettorale”. Dalle confuse, talvolta contraddittorie parole di Page ai deputati si evincono i tratti di una vicenda che va corroborata con prove puntuali – a questo sta lavorando alacremente Mueller – ma la sua parabola da ininfluente approfittatore legato vagamente alla campagna di Trump a emissario riconosciuto e ascoltato lo accomuna a molti, troppi altri attori del gran teatro della collusione russa.