Il giudizio universale in Kentucky
Il suicidio di un pastore accusato di molestie impone una riflessione
La tragica fine di Dan Johnson, pastore del Kentucky e deputato dello stato, dovrebbe fungere da ammonimento per chi vuole trasformare il mutato clima sulle molestie sessuali in un giudizio universale sul genere maschile, da celebrare non già nelle aule di tribunale ma sui giornali. Qualche giorno fa il Kentucky Center for Investigative Reporting ha pubblicato una mastodontica inchiesta su Johnson, autorità assoluta di una piccola congregazione che aveva sede nel sottoscala di casa sua, una comunità del tipo assai comune nell’America di mezzo dove gli uomini non si tolgono il cappello a falda larga nemmeno in chiesa. Lui era l’autoproclamato “papa” del gruppo. L’inchiesta, frutto di un lavoro investigativo di sette mesi, diceva che Johnson aveva molestato una ragazza di diciassette anni, amica di sua figlia. Una sera si era fermata a dormire a casa dei Johnson, e lui si era intrufolato nel suo letto nottetempo, l’aveva baciata e le aveva messo le mani sotto la maglietta, e dopo le insistenti richieste di lasciarla in pace, se n’era andato. Sembrava ubriaco, dice la vittima, mentre lui sosteneva di essere stato drogato da qualcuno, diverse ore prima, al bar, e che non ricorda nulla di quella serata. La polizia aveva aperto un’inchiesta sul caso, ma era stato chiuso, dicono gli inquirenti, per l’indisponibilità della vittima a continuare la collaborazione con gli agenti. Johnson ha protestato la sua innocenza davanti alla congregazione riunita, ha risposto alle domande dei giornalisti, poi ha scritto su Facebook qualcosa di molto simile a una nota suicida. Si è ucciso con un colpo di pistola alla testa, accanto alla sua auto, su un ponte del Kentucky.