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No al Giappone dei no

Redazione

L’economia dà buoni segnali, ma è ora che i privati si prendano le loro responsabilità. Lezioni da Tokyo

La Borsa di Tokyo l’altro ieri, primo giorno di riapertura dopo le vacanze di Capodanno, ha chiuso con un +3,26 per cento, il miglior risultato da 26 anni. E’ ormai dal novembre del 2016 che l’indice Nikkei si muove in positivo. Ma anche altri dati dicono che il Giappone sta andando piuttosto bene: la disoccupazione è ai minimi da 24 anni, il pil nell’ultimo trimestre del 2017 è cresciuto più delle previsioni, eppure l’economia continua a soffrire, e i fattori sono ancora inspiegabili.

  

Nell’ultimo numero della Nikkei Asian Review, Shigeo Kashiwagi, economista della Keio University di Tokyo, ex direttore esecutivo per il Giappone del Fmi e della Banca di sviluppo asiatico, ha scritto un commento per analizzare i fattori di questa stagnazione, che non si libera dai pesi del passato. “I critici di Shinzo Abe suggeriscono spesso che il primo ministro dovrebbe ancora affrontare importanti riforme strutturali. Ma si sbagliano. Sin dal suo insediamento nel 2012 Abe ha sostenuto e agevolato riforme importanti”, scrive Kashiwagi. “E’ vero che alcuni risultati ancora non sono pienamente visibili. I campi che devono essere riformati per promuovere la crescita economica hanno problemi strutturali, e riformarli richiede tempo. Ma è giunto il momento che parte dell’onere sia spostato dal governo – che sta lavorando duramente per far ripartire l’economia – alle aziende e ai privati, che devono fare di più per aumentare la produttività”. Secondo Kashiwagi il Giappone è un caso di scuola, perché nessun paese ha mai affrontato i problemi tipici dell’economia nipponica: l’invecchiamento della popolazione, un’enorme spesa pensionistica, il bilancio fiscale, la deflazione prolungata, il bassissimo tasso di natalità: “I mercati e i media di solito si aspettano che sia il governo a introdurre soluzioni rapide per risolvere i problemi. Ma è realistico pensare che un esecutivo possa attuare politiche efficaci per risolvere tutti questi problemi istantaneamente? Ha gli strumenti politici necessari?”. Per Kashiwagi non si può negare il ruolo che devono avere le politiche monetarie e fiscali per sostenere il settore privato, ma allo stesso tempo, “dobbiamo ricordare a noi stessi che l’economia giapponese è democratica e guidata dal mercato e dal settore privato, e il governo non ha il pieno controllo su ogni aspetto dell’economia”.

  

Le tre frecce dell’Abenomics hanno iniziato a cambiare qualcosa, ma adesso è il momento che anche le aziende e i privati cittadini si mettano in moto senza aspettare che la soluzione arrivi dall’alto: “Abbiamo visto risultati positivi dalla riforma della corporate governance? Forse no. E’ colpa del governo? Probabilmente no. La richiesta di Abe di aumentare i salari è stata ignorata e respinta dai cda e dai sindacati. La popolazione in declino e la competizione globale costringono i giapponesi a essere sempre prudenti e contrari al rischio. Ci sono tanti esempi di riforme del governo rifiutate da vari gruppi di interesse. Gli agricoltori resistono alla riforma agricola, gli insegnanti a quella dell’Istruzione, i tassisti a Uber, per fare alcuni esempi”. Perché i giapponesi non vogliono fare passi in avanti nella direzione giusta?, si domanda Kashiwagi: “C’è bisogno di sviluppare rispetto per la diversità, accogliere il cambiamento. Potrebbe volerci del tempo, ma piccoli passi nella testa di ogni singolo cittadino potrebbero essere importanti”. E’ giunto il momento di smetterla di domandarci se il governo abbia fatto abbastanza, “e chiederci se il settore privato stia prendendo seriamente in considerazione le riforme, e se tutti i cittadini siano pronti ad abbracciarle”.

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