La Tunisia in rivolta
Gli scontri, il peso della Primavera fallita, il contagio, l’obbligo di non distrarsi
Altre 150 persone sono state arrestate venerdì in Tunisia, le proteste e gli scontri con la polizia sono destinati a intensificarsi nel fine settimana. Giovani e disoccupati manifestano da giorni soprattutto nelle città dell’entroterra lontane dalla costa più ricca contro l’aumento delle tasse e dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità: morti, feriti, arresti, una rabbia che le autorità non sanno gestire. Si sente aria di Primavera araba ma pesa sull’insofferenza il fatto che una Primavera ci sia già stata, nel 2011, e nonostante la Tunisia sia una delle poche nazioni ad aver approfittato della rivoluzione per trasformarsi, la qualità della vita non è migliorata. Fosse la prima volta, l’idealismo sarebbe ben più alto, ma non la è, e lo scontro è per questo più aspro. Contagioso anche perché in tutta la regione la questione del prezzo del pane, che a molti commentatori da questa parte del Mediterraneo sembra un pretesto da buonisti, ha da decenni detonato i processi di destabilizzazione: in Giordania dal primo febbraio non ci saranno più i sussidi per il pane, e si aspettano le proteste. In molti altri paesi della regione, dall’Algeria al Golfo, l’allerta è alta, perché pure i regimi più ricchi fanno manovre sui sussidi che scatenano nuove manifestazioni: la repressione è quasi sempre la strategia scelta dagli autocrati per ripristinare l’ordine, ma se questa può al limite congelare i problemi politici, non risolve certo quelli economici. A noi spetta il compito di non voltarci dall’altra parte, di comprendere che il desiderio di equità e di libertà è un invito al coinvolgimento: siamo stati noi in fondo, un po’ distratti un po’ maniaci dello status quo, a lasciare che la Primavera del 2011 tradisse il suo slancio liberale, e tanti popoli mediorientali.
Cosa c'è in gioco