Delirio politico a Praga

Redazione

Da dieci giorni le istituzioni combattono tra loro per colpa dei populisti

La rocambolesca crisi istituzionale delle ultime settimane in Repubblica ceca è un monito per le forze che vedono nell’associazione con i partiti populisti un’opportunità di guadagno politico. Tutto è iniziato lo scorso 2 maggio, quando il primo ministro socialdemocratico Bohuslav Sobotka, in carica dal 2014, ha annunciato le dimissioni di tutto il suo governo in anticipo rispetto alle elezioni fissate per ottobre. La ragione delle dimissioni è un dissidio con il suo ministro delle Finanze e vicepremier, Andrej Babis, miliardario e capo del partito Azione dei cittadini insoddisfatti (Ano), una forza populista che attualmente viaggia intorno al 30 per cento nei sondaggi, contro il 12 dei socialdemocratici del premier. Babis è stato accusato di evasione fiscale e frode, ma Sobotka, anziché chiedere solo le sue dimissioni, ha pensato di far dimettere tutto il governo, per evitare di trasformare il suo alleato-avversario in un “martire”.

 

Qui però entra in gioco il presidente della Repubblica, Milos Zeman, un altro uomo forte di tendenze populiste, ammiratore di Trump e Putin, che nella contesa si è schierato nettamente con Babis. Sobotka a quel punto ha ritirato le dimissioni, ma Zeman le ha pretese lo stesso, e la crisi di governo si è trasformata in un’impasse terribile, con litigi furibondi in diretta tv (in uno Zeman ha brandito il suo bastone da passeggio contro Sobotka). Premier e presidente si sono lanciati a vicenda ultimatum non rispettati, e i populisti intanto approfittano del caos. L’errore iniziale è stato del primo ministro: le alleanze con i populisti sono trappole per politici ingenui.

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