A volte ritornano: Puigdemont candidato alla presidenza in Catalogna
Il leader indipendentista, fuggito a Bruxelles per evitare il carcere, è stato proposto come candidato a formare il nuovo governo e vuole una "soluzione politica". No della Corte suprema a un nuovo mandato d'arresto
Roma. Nonostante le "minacce" di Madrid, presto in Catalogna verrà formato un nuovo governo regionale, ha dichiarato da Copenaghen il leader indipendentista catalano Carles Puigdemont come sottolinea sia "ora di negoziare" e "porre fine alla repressione e cercare una soluzione politica" al conflitto. Il presidente del Parlamento catalano Roger Torrent poche ore prima aveva proposto Puigdemont come candidato alla rielezione alla presidenza della Catalogna. La candidatura dell’ex president – fuggito in Belgio dal 30 ottobre, in seguito alla denuncia dalla procura generale di Madrid per ribellione, sedizione e malversazione – è “perfettamente legittima” ha detto Torrent, che non ha chiarito come sarà effettuata l'eventuale investitura ma ha spiegato che chiederà al primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, un incontro per “esaminare e discutere” la situazione “anomala” che vive la Generalità della Catalogna, con diversi dei suoi deputati in prigione e altri fuori della Spagna per evitare l'arresto. “Sono consapevole della situazione personale e legale di Puigdemont. Sono cosciente degli ostacoli che ha davanti, ma anche della sua legittimità assoluta di essere un candidato”, ha detto il presidente del Parlament Torrent, del partito indipendentista Esquerra Republicana. “La possibilità di affrontare questa investitura è una questione politica. E la politica deve essere al centro di tutto”, ha aggiunto, chiedendo di “esplorare tutte le vie possibili”.
Un segnale, insomma, per le forze separatiste – che insieme avrebbero la maggioranza relativa dei seggi ma che non superano il 47 per cento sul totale degli elettori e soprattutto non sembrano volersi unire – a darsi da fare per trovare un compromesso che scavalchi le decisioni della magistratura. Anche con l'aiuto della figura del Puigdemont "esiliato", appositamente elevata a gonfalone eroico della causa indipendentista. Ma soprattutto un segnale al governo di Madrid, che ha interesse a tenere il dossier sul piano legale (il ministro della giustizia spagnolo Rafael Català, prima del voto di ottobre avvertiva che una dichiarazione di indipendenza della Catalogna avrebbe avuto "conseguenze penali") mentre i separatisti vogliono trasformarlo in una mera questione politica.
Il presidente regionale deve essere nominato tra il 29 e il 31 gennaio e i sostenitori dell'indipendenza hanno la maggioranza relativa nel Parlament. Puigdemont e il suo gruppo, JxCat, hanno detto la settimana scorsa di poter governare la regione indipendentista da Bruxelles: vogliono che l'investitura si realizzi “in via telematica” o mediante delega affinché il leader separatista non debba tornare in Catalogna, dove sarebbe arrestato. Ma il governo Rajoy, che ha posto la regione sotto amministrazione controllata in seguito al referendum del 1 ottobre scorso, ha già avvertito che non permetterà una nomina a distanza e ha minacciato di prolungare il commissariamento.
Oggi Puigdemont è arrivato nella capitale della Danimarca – dove nel pomeriggio parteciperà a un seminario organizzato dall'Università di Copenaghen – e la procura spagnola ha chiesto al giudice del Tribunale supremo di riattivare il mandato d'arresto europeo. Il gip dell’alta corte di Madrid Pablo Llarena, titolare del caso, ha però respinto la richiesta. Fonti del tribunale, citate dal Mundo, riferiscono che il giudice Llarena ritiene che siano sempre valide le ragioni che lo hanno spinto lo scorso 5 dicembre a ritirare il mandato d'arresto comunicato alle autorità belghe. Ancora in attesa di processo è invece l'altro leader indipendentista catalano, Oriol Junqueras, che rimarrà in carcere dopo che i tre giudici della Camera dei ricorsi del Tribunale supremo hanno respinto all'unanimità la sua richiesta di scarcerazione per poter esercitare i suoi diritti di deputato, dopo le elezioni del 21 dicembre.
I conservatori inglesi