Così Mélenchon gonfiava i rimborsi
Non soltanto grillini, barare sulle spese è un vizietto comune ai populisti
Non soltanto grillini. La sindrome dei sedicenti difensori del popolo che barano sui rimborsi non è prerogativa del Movimento 5 stelle. In Francia gli Insoumis del tribuno Jean-Luc Mélenchon hanno visto i loro conti della campagna presidenziale del 2017 approvati con riserva. Sui dodici milioni di euro spesi, 434.939 risultano rettificati. Il motivo, scrive il Monde, è che parte dei conti presenta irregolarità, in particolare alcune fatture sarebbero gonfiate mentre altre spese non sarebbero dettagliate a sufficienza. Per la Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques queste spese non sono rimborsabili.
Andando a guardare nel dettaglio si scopre una certa creatività, eufemismo, nella ricostruzione delle spese. Mélenchon, nota il Figaro, avrebbe gonfiato di 54.600 euro le fatture dovute alla società Mediascop di proprietà della sua più vicina consigliera Sophia Chikirou, che ne ha gestito la comunicazione. L’incoerenza è che “il prezzo di undici prestazioni presenta delle differenze significative rispetto alle tariffe dell’impresa”. Non è l’unica spesa sospetta. L’associazione L’ère du peuple, che ha gestito il materiale video e l’organizzazione degli eventi , è stata pagata 440.027 euro, una somma considerata eccessiva dalla commissione: L’ère du peuple ha quattro dipendenti, tutti molto vicini a Mélenchon (due sono diventati suoi deputati), e ha ricevuto una somma cinque volte maggiore rispetto agli stipendi distribuiti. Un margine troppo ampio e sospetto, che ha spinto la commissione a restringere il rimborso dovuto ai soli stipendi, eliminando gli altri guadagni. Infine, le cifre dichiarate dal candidato per l’affitto dei locali del quartier generale della campagna elettorale sono state anch’esse giudicate anormali e diminuite di un terzo.
C’è poi l’incoerenza politica: secondo il Monde almeno dieci persone chiave della campagna elettorale, come il portavoce, Alexis Corbière, il responsabile del servizio d’ordine, Benoît Schneckenburger, e la responsabile stampa, Juliette Prados, sarebbero stati pagati non come dipendenti ma come “auto -imprenditori”, in forza di uno statuto particolare che consente al datore di lavoro di non pagare i contributi e che il candidato Mélenchon ha più volte denunciato dai palchi dei comizi, definendolo “autoschiavismo”. Certo, finché lo usano gli altri.