Capire le morti di Gaza
Hamas ha molte colpe per la tragedia al confine con Israele
Gli scontri al confine lungo la Striscia di Gaza tra manifestanti palestinesi ed esercito israeliano hanno provocato dodici morti tutti di parte palestinese, qualche centinaio di feriti e la prevedibile e automatica indignazione sui media. L’esercito israeliano ha sparato sui civili inermi, ha detto la vulgata, dimenticando tuttavia alcuni fatti fondamentali. La “marcia del ritorno” è stata indetta per commemorare “l’esproprio delle terre arabe” nel 1948 e le proteste continueranno fino al 15 maggio. Bisognerebbe ricordare, anzitutto, che nella Striscia di Gaza non c’è nessuna occupazione israeliana dal 2005. C’è un blocco navale e uno dei confini, certo, che è imposto da Israele per garantire la propria sicurezza e che comunque non impedisce alla leadership di Hamas di ricevere copiosi aiuti umanitari immediatamente reindirizzati nella costruzione di missili e armamenti da utilizzare contro il popolo israeliano.
Gaza è un territorio libero dal quale si sono mosse 17 mila persone organizzate da Hamas, con molotov e pietre, che hanno cercato di “ritornare” verso il legittimo territorio di Israele: ieri l’esercito di Gerusalemme ha mostrato video che dimostrano come alcune cellule terroristiche abbiano cercato di infiltrarsi nei confini approfittando dei disordini. L’esercito ha sparato laddove i palestinesi hanno tentato di superare i reticolati di confine, e il numero delle vittime è stato massimizzato dalla tattica spietata di utilizzare i civili e in alcuni casi perfino i bambini come scudi umani.
I morti sono una tragedia, ma una tragedia in cui le politiche di Hamas hanno giocato una parte fondamentale.