Il muro del protezionismo
La risposta della Cina ai dazi di Trump e la lezione per Di Maio e Salvini
Per i politici è difficile stare a sentire cosa dicono gli economisti perché è quasi impossibile che tutti dicano la stessa cosa. Winston Churchill ha sintetizzato la faccenda, come al solito, in modo fantastico: “Se metti due economisti in una stanza avrai due diverse opinioni. A meno che uno dei due non sia Lord Keynes, in quel caso ne avrai tre”. C’è però una cosa su cui gli economisti, dai tempi di Adam Smith e David Ricardo fino a oggi, sono tutti d’accordo e riguarda il commercio internazionale: il libero scambio è nell’interesse di tutti, è un gioco a somma positiva. Eppure, dopo una stagione di liberalizzazione del commercio mondiale, e nonostante le barriere siano presenti e numerose ovunque, si è alzato forte un vento protezionista soprattutto che spira proprio dagli Stati Uniti, la patria storica del libero mercato.
Donald Trump ha vinto le elezioni promettendo di proteggere l’industria nazionale a colpi di tasse sulle importazioni ed è stato di parola con l’innalzamento dei dazi su acciaio e alluminio. La mossa però ha provocato un duplice danno agli americani: il primo è l’aumento, attraverso le nuove tasse, dei prezzi per i consumatori e il secondo, potenzialmente più devastante, è una guerra commerciale. La Cina infatti come rappresaglia ha aumentato fino al 25 per cento in più i dazi su 128 prodotti americani. Anche la contromossa penalizzerà sia Pechino sia Washington, a dimostrazione che le guerre commerciali fanno male a tutti, ma è una lezione per i sovranisti di casa nostra, i Di Maio e Salvini, che propongono dazi a destra e a manca: se alzi barriere gli altri non stanno a guardare, faranno lo stesso. E se il protezionismo è un errore in generale, per un paese trasformatore ed esportatore come l’Italia è un autentico suicidio.
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