Efraìn Rìos Montt (foto LaPresse)

È morto l'ex dittatore del Guatemala Efraín Ríos Montt

Redazione

Aveva 91 anni ed era sotto processo per genocidio e crimini contro l'umanità 

È morto per un infarto all'età di 91 anni l'ex dittatore guatemalteco Efraìn Rìos Montt, condannato per il genocidio degli indios Ixil sotto il suo regime, tra il 1982 e il 1983. Montt, un ex militare, era salito al potere con un colpo di stato ma fu deposto solo 17 mesi dopo: il suo breve dominio è considerato il periodo più letale della guerra civile del Guatemala, durata 36 anni, in cui morirono oltre 200.000 persone. Nel 2013 era stato condannato a 80 anni per genocidio e crimini contro l'umanità per il massacro di 1.741 indigeni maya, che si schierarono con la guerriglia, nel corso della guerra civile che ha insanguinato il paese centroamericano dal 1960 al 1996. 

        
La condanna era stata annullata dalla Corte costituzionale del Guatemala, che aveva ordinato un nuovo processo che si stava ancora celebrando. Montt è morto alle 6 del mattino di domenica nella sua residenza a Città del Guatemala, dove era tenuto agli arresti domiciliari. Negli ultimi anni le condizioni di salute di Montt si erano aggravate a causa della demenza senile e di altre malattie e anche in caso di una nuova condanna avrebbe scontato la pena nella sua abitazione o in una casa di cura. Il governo guatemalteco di Jimmy Morales ha espresso cordoglio per la scomparsa dell'ex presidente e ha fatto le condoglianze alla vedova e ai figli. Primo presidente protestante dell'America Latina, Montt aveva guidato il paese per 17 mesi dopo il golpe ai danni del generale Fernando Romeo Lucas Garci'a. Lo sterminio degli Ixil, in 15 operazioni militari nel dipartimento nord occidentale di Quiche e con l'obiettivo di fare terra bruciata attorno ai guerriglieri marxisti, segnò uno dei periodi più bui della guerra civile del Guatemala.

  

Per approfondire

Qui Gabriella Saba spiegava chi era Efraín Ríos Montt e il suo "labirinto", il Guatemala: uno strano paese che non segue il passo del resto del mondo, nemmeno di quello insopportabilmente lento dell’America Latina.

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