Un altro venerdì di rabbia nella Striscia di Gaza. La diretta dal confine con Israele
A una settimana dalle violenze per la "marcia del ritorno" la campagna raggiunge un nuovo apice: i dimostranti palestinesi vogliono bruciare 10.000 pneumatici. Funzionari dell'IDF temono che Hamas sfrutti il caos per compiere un attacco in territorio israeliano
A distanza di una settimana dalle violente proteste lungo la Striscia di Gaza dello scorso venerdì, la campagna palestinese per la "Grande marcia del ritorno" – che nei piani degli organizzatori dovrebbe durare sei settimane, fino al 15 maggio, in coincidenza con la "Giornata della Naqba" – oggi raggiunge un nuovo apice, con quello che è stato soprannominato il "Venerdì degli pneumatici". Nei cinque campi base che circondano i territori israeliani i manifestanti palestinesi stanno dando fuoco a copertoni e lanciando pietre verso le barriere e il territorio di Israele. I dimostranti palestinesi pianificano di bruciare circa 10.000 gomme e di usare specchi per accecare i cecchini delle Forze di difesa israeliane (IDF), appostate dietro ai terrapieni che difendono il confine, pronti a colpire gli istigatori più violenti. Per ora, secondo il ministero della Sanità palestinese, il bilancio è di quattro morti. Secondo la Croce Rossa palestinese i feriti sono 240.
Secondo fonti israeliane, due alti funzionari del gruppo terroristico Hamas – Mahmoud al Zahar e il capo della sicurezza, Tawfiq Abu Naim – stanno partecipando alla manifestazione. Al Zahar ha detto alla folla riunita che, "se Israele ha colpito profondamente nella Striscia, Hamas si vendicherà colpendo in profondità il cuore degli insediamenti". La Striscia di Gaza a livello puramente teorico è amministrata dall'Autorità Nazionale Palestinese. In realtà è Hamas a governare de facto in via esclusiva e con la forza il territorio.
La difesa di Israele
I responsabili della difesa di Israele hanno installato grandi ventilatori per impedire che fumo e fuoco arrivino in Israele, e hanno attivato droni in grado di fornire informazioni in tempo reale sulle migliaia di manifestanti nascosti dietro le spesse colonne di fumo nero. Inoltre, decine di camion dei pompieri sono stati dispiegati lungo il confine per contrastare l'eventualità di propagazione del fuoco verso Israele. L'esercito israeliano ha dichiarato di aspettarsi che circa 50mila palestinesi partecipino alle proteste nelle cinque zone. Si prevede quindi un aumento di manifestanti rispetto ai 35mila che hanno partecipato al primo giorno della "marcia del ritorno". In una riunione di ieri i funzionari dell'esercito hanno discusso anche della possibilità che Hamas sfrutti il caos delle proteste per compiere un attacco all'interno del territorio israeliano.
A group of #Palestinians making their way to the #GreatReturnMarch in Gaza with axes & tires, because that's what you bring to a "peaceful" march. pic.twitter.com/kOW1AGiQrX
— Hananya Naftali (@HananyaNaftali) 6 aprile 2018
Gli scontri e le morti della scorsa settimana
Come abbiamo scritto sul Foglio il 30 marzo, gli scontri della settimana scorsa al confine hanno provocato dodici morti di parte palestinese e centinaia di feriti. Altre 9 persone sono morte in seguito alle ferite riportate, l'ultima questa mattina. La “marcia del ritorno” è stata indetta per commemorare “l’esproprio delle terre arabe” nel 1948. Ma bisognerebbe ricordare, anzitutto, che nella Striscia di Gaza non c’è nessuna occupazione israeliana dal 2005. C’è un blocco navale e uno dei confini, certo, che è imposto da Israele per garantire la propria sicurezza e che comunque non impedisce alla leadership di Hamas di ricevere copiosi aiuti umanitari immediatamente reindirizzati nella costruzione di missili e armamenti da utilizzare contro il popolo israeliano. Gaza è un territorio libero dal quale si sono mosse 17 mila persone organizzate da Hamas, con molotov e pietre, che hanno cercato di “ritornare” verso il legittimo territorio di Israele: ieri l’esercito di Gerusalemme ha mostrato video che dimostrano come alcune cellule terroristiche abbiano cercato di infiltrarsi nei confini approfittando dei disordini. L’esercito ha sparato laddove i palestinesi hanno tentato di superare i reticolati di confine, e il numero delle vittime è stato massimizzato dalla tattica spietata di utilizzare i civili e in alcuni casi perfino i bambini come scudi umani. I morti sono una tragedia, ma una tragedia in cui le politiche di Hamas hanno giocato una parte fondamentale
@ShehabAgencyEn : Continues in the collect of the #tires in Khan Younis in preparation for use it on the eastern border of #Gaza on Friday pic.twitter.com/LOcJxevGdf
— Shehab News (@ShehabAgencyEn) 4 aprile 2018
Le reazioni internazionali
L'unica informativa che arriva dall'ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite è un invito a Israele a garantire che le sue forze di sicurezza non usino eccessiva forza contro i manifestanti. Le armi da fuoco dovrebbero essere utilizzate solo come ultima risorsa, e il ricorso ingiustificato al loro uso potrebbe essere considerato come omicidio volontario di civili, una violazione della Quarta convenzione di Ginevra, ha detto la portavoce dell'Onu Elizabeth Throssell in un briefing. Ad Hamas, invece, nessun invito alla non violenza.
Il rappresentante speciale del presidente americano Donald Trump per i negoziati internazionali, Jason Greenblatt, ha esortato invece i manifestanti palestinesi a restare al di fuori della zona cuscinetto sul confine di Gaza. "Gli Stati Uniti esortano con fermezza i leader della protesta a dire a voce alta e chiara ai manifestanti di marciare pacificamente, di astenersi da qualsiasi forma di violenza, di restare fuori dall'area cuscinetto di 500 metri e di non avvicinarsi alla barriera di confine in nessun modo", si legge in una nota di Greenblatt. Il comunicato aggiunge che gli Stati Uniti "condannano i leader e i manifestanti che invitano alla violenza o che inviano i manifestanti, tra cui bambini, verso la barriera pur sapendo che potrebbero essere feriti o uccisi", invitando "piuttosto tutte le parti a concentrarsi a trovare soluzioni alle sfide umanitarie cui devono far fronte attualmente gli abitanti di Gaza".
L'editoriale del direttore