Come funziona la macchina della disinformazione di Orban
L'Ungheria oggi al voto e il leader di Fidesz va verso il suo quarto mandato. Ma dietro di lui si muove un complesso sistema di propaganda
Le elezioni in Ungheria in programma domenica metteranno alla prova la forza di uno dei principali partiti populisti d'Europa, quello guidato da Viktor Orban, in cerca del quarto mandato come primo ministro. I sondaggi danno il leader del partito al governo, Fidesz, in netto vantaggio sull'ultra destra di Jobbik e sui socialisti. "L'Europa e l'Ungheria sono l'epicentro di una battaglia per la civilizzazione", mentre gli africani "tentano di abbattere la porta" dell'Ue, che però "non ci sta difendendo", sono alcuni degli slogan ripetuti da Orban in questi giorni. In vista del voto la macchina della propaganda che da anni lavora al servizio del primo ministro sta martellando l'opinione pubblica. La strategia – insieme ad altri strumenti che abbiamo già imparato a conoscere anche in altre campagne e in altri paesi – è la stessa che tanto ha funzionato fino a oggi: teorie del complotto, polemiche sull'immigrazione, anti-europeismo. Un cocktail letale per i partiti all'opposizione, ormai relegati al ruolo di comparse in quel che resta nel panorama democratico ungherese.
Negli ultimi giorni, Buzzfeed e Politico Europe hanno pubblicato due inchieste che provano a spiegare come funziona e chi sono i responsabili principali della campagna di disinformazione di Fidesz. Le due testate individuano due personaggi diversi come gestori e ideatori del sistema di propaganda, ma arrivano alle stesse conclusioni: il modello è rodato, adotta delle strategie di persuasione efficaci sia sui social network sia sui media tradizionali e punta sull'individuazione di nemici presunti (gli immigrati, la finanza occidentale, l'islam) in grado di suscitare paure indotte, dalle quali è possibile difendersi solo difendendo lo status quo (cioè il partito al potere). Inoltre esistono legami provati tra l'ex superconsigliere del presidente americano Donald Trump, Steve Bannon, e il sistema propagandistico di Orban. Ed è forse questo l'aspetto più intrigante. Non a caso Bannon, nel suo tour europeo, ha detto tra le altre cose, che “l’uomo più importante sulla scena oggi è Viktor Orbán”, definito anche “un eroe” (Paola Peduzzi ne ha scritto qui). Ma come è nata la connessione tra l'ex consigliere di Trump e Budapest?
Sia Buzzfeed sia Politico partono da un nome, quello di Arthur Finkelstein, un ebreo omosessuale di New York morto un anno fa e già collaboratore di lunga data del partito repubblicano e ideatore di campagne di odio proprio nei confronti di gay ed ebrei. Può sembrare un paradosso ma la storia che stiamo raccontando vive proprio di simili paradossi.
Il consulente politico, Roger Stone, lo ha definito "un conservatore situazionista". Mentre tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta i democratici lo avevano ribattezzato il "mercante di veleno", per le sue campagne omofobe anti-libertarie. Finkelstein ha contribuito a far eleggere alla Casa Bianca Ronald Reagan nel 1980 e nel 1996 ha sostenuto Benjamin Netanyahu nella campagna per la sua prima elezione a premier di Israele.
Dal 2008 Finkelstein ha ricoperto la posizione di consulente del partito di Orban ed è considerato il deus ex machina della campagna lanciata contro il guru della finanza mondiale George Soros. Il presidente della Open Society Foundation da anni è bersaglio di accuse molto pesanti, come quella di volere sovvertire l'ordine costituito favorendo l'immigrazione illegale in Ungheria e in altri paesi dell'Europa dell'est. Il consulente newyorkese è anche considerato l'ideatore della retorica populista e anti-europeista che Orban ripropone da anni e che è diventata modello da imitare in altri paesi dell'Europa orientale.
Alla morte di Finkelstein, la macchina della disinformazione di Fidesz ha dovuto cercare una figura idonea a portare avanti la sua attività. Ed è qui che Buzzfeed e Politico arrivano a individuare due nomi diversi, entrambi rimasti nell'ombra fino a oggi: il primo è Árpád Habony, un ex studente di arte diventato presto tra i principali consulenti di Orban dopo la sconfitta elettorale di Fidesz alle elezioni del 2002. Il secondo – quello identificato da Politico Europe – è invece Antal Rogán, un 46enne che guida il National Communication Office di Budapest, ovvero il centro nevralgico del sistema dell'informazione pubblica ungherese. Entrambi i personaggi sono avvolti da un'aura di mistero e da tempo la stampa ungherese ha provato a tracciare un loro profilo. Pur essendo un dandy e amante della moda, non esistono foto di Habony e si sa solo che è apparso una volta in televisione durante una trasmissione nel 2000. Come adepto di Finkelstein, Habony ha contribuito a sviluppare il culto della personalità di Orban e a innescare il sistema di fake news su cui si basano buona parte dei consensi raccolti da Fidesz dal 2002. Campagne su Facebook, video modificati e immagini decontestualizzate sono stati gli strumenti principali della campagna di Habony per screditare l'opposizione di Orban. D'altra parte, Rogán è stato alla guida del sistema di informazione che si è avvalso del servizio pubblico, tra canali televisivi e giornali, per diffondere le già note campagne anti-Soros e quella anti-immigrati. Il sistema messo a punto da Rogán e ricostruito da Politico sfrutta anche i canali di informazione russi. E sempre più spesso utilizza immagini, notizie o interi servizi prodotti da Sputnik e Russia Today, i due canali ufficiali di informazione del Cremlino.
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