La sinistra americana a cinque stelle
I democratici in formato populista evocano il “jobs guarantee” e aprono allo stato datore di lavoro
Nell’America del mercato e della libertà d’impresa l’idea dello stato che dà lavoro a tutti per ingenerare la piena occupazione è stata presa sul serio al massimo da sottogruppi di minoranze dell’ultrasinistra con potere politico e capacità di presa culturale prossimi allo zero. Nemmeno Bernie Sanders, che con il mix da socialdemocrazia scandinava qualche tabù lo ha infranto, dall’università gratuita alla lotta ai trattati di libero scambio, aveva mai osato evocare il “jobs guarantee”.
In poco più di un anno dalla sconfitta di Hillary Clinton, e con lei dell’establishment democratico in solido, lo stato che offre occupazione è diventato moneta corrente nel dibattito interno al Partito democratico. Non dell’ala riottosa e antisistema, ma dei maggiorenti del mainstream della sinistra. Il Center for American Progress, il think tank progressista fondamentale dell’epoca obamiana, già presieduto da John Podesta, ha elaborato una versione morbida del “jobs guarantee” che potrebbe essere armonizzata con il programma del partito; il Center on Budget and Policy Priorities ne ha proposto una versione più muscolare. I senatori Cory Booker e Kirsten Gillibrand, entrambi espressione dell’establishment e indiziati per una corsa alla Casa Bianca, hanno dato il loro benestare a una proposta che sembrava inconcepibile per la sinistra americana fino a pochi mesi fa. S’incolpano i populisti per l’introduzione di politiche insostenibili per circuire gli elettori sprovveduti o disperati, dal reddito di cittadinanza allo stato datore di lavoro, ma poi i partiti che dovrebbero tenere il punto sono i primi ad accodarsi.
I conservatori inglesi