Libertà di troll
La sentenza che vieta a Trump di bloccare i critici ha conseguenze pesanti
Il presidente americano, Donald Trump, non può bloccare i suoi critici su Twitter. Lo ha deciso mercoledì una giudice di Manhattan, secondo cui il profilo Twitter di un “pubblico ufficiale” deve essere considerato come uno spazio pubblico sotto il controllo del governo, esattamente come un parco federale. In questi luoghi, spiega la giudice, discriminare sulla base delle visioni politiche è una violazione del Primo emendamento, perciò incostituzionale. @realDonaldTrump, dunque, non può bloccare nessun utente critico dal suo profilo. (Promemoria: bloccare qualcuno su Twitter significa impedirgli di vedere i tweet del bloccante e di interagire con lui; diversa è la funzione “mute”, che semplicemente fa sparire i tweet dell’utente sgradito: quest’ultima azione è ancora consentita al presidente).
La sentenza è stata vissuta da molti come una vittoria: finalmente il twittatore-in-chief smetterà di fare il bullo online, dovrà accettare le critiche dei cittadini onesti, non potrà più nascondersi. Vero. Ma come la mettiamo con i troll? La sentenza è poco chiara e non dice, per esempio, come dovrebbe comportarsi Trump con i tanti utenti twitter che lo minacciano di morte e inneggiano alla violenza. Ma anche senza arrivare a questi estremi, l’account twitter del presidente è popolato di molestatori digitali seriali poco interessati alla civile discussione politica sotto l’egida del Primo emendamento. Come gestirli? Bisogna sopportare. E poco male se a sopportare è l’account mastodontico del presidente, gestito (più o meno) da un team di professionisti. La sentenza però si estende a tutti i pubblici ufficiali americani (secondo una giurista sentita dalla rivista Wired, la sentenza fa riferimento agli ufficiali eletti e alle agenzie governative), ai quali è stata appena comminata la totale impotenza davanti ai molestatori da tastiera.
Secondo la giudice di Manhattan, se sei stato eletto a qualche carica pubblica ti è vietato difenderti dai troll. E se i troll sono russi?
L'editoriale del direttore