Con chi stiamo trattando davvero
Il summit tra Trump e Kim nasconde il vero ruolo della Cina nella partita
Come una di noi, anche la first daughter Ivanka, la figlia del presidente americano Donald Trump, quando non sa che dire usa delle citazioni a caso. Capita però che l’origine di quelle citazioni sia controversa. Così, alla vigilia dello storico summit fra Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un a Singapore, Ivanka ha cinguettato: “‘Quelli che dicono che non si può fare, non dovrebbero interrompere chi invece fa’ (proverbio cinese)”. Se non fosse che di cinese il proverbio non aveva proprio nulla. È finita che l’abuso di certi detti esotici da parte della consigliera della Casa Bianca è diventato l’ennesimo pretesto per condividere sorrisini maliziosi sui social network cinesi. Perché una cosa è certa: se Donald Trump oggi festeggia il suo primo grande risultato di politica estera – che finora è stato aver avuto il coraggio, che è mancato ai suoi predecessori in carica, di dare un riconoscimento formale alla Corea del nord incontrando il suo leader, costi quel che costi, pur di arrivare a un tavolo delle trattative – chi festeggia ancora di più per questo iniziale accordo è senza dubbio la Cina.
Il supporto di Pechino a Pyongyang in questa fase interlocutoria era parso chiaro sin dall’inizio: Kim Jong-un ha infatti viaggiato su un 747 dell’Air China, per una ragione tecnica (il suo vecchio aereo presidenziale di derivazione sovietica non assicurava l’arrivo dopo circa sette ore di volo) ma anche per una ragione politica. In questo modo, l’impegno cinese nel far andare bene le cose è stato chiaro a tutti. E il messaggio è: non è Trump a dare le carte. Del resto, il primo viaggio ufficiale di Kim Jong-un fuori dai confini nazionali, sin da quando è salito al potere nel dicembre 2011, è stato a fine marzo a Pechino, alla corte del presidente Xi Jinping. E poi, neanche due mesi dopo, Kim è uscito dal paese di nuovo per raggiungere Xi a Dalian.
L’atteggiamento di Kim durante entrambi gli incontri è sembrato molto simile a quello che si ha tra allievo e maestro. A giudicare dall’accordo, piuttosto vago, raggiunto ieri da Trump e Kim ma soprattutto dalle frasi del presidente americano in conferenza stampa, ha vinto la linea cinese. Il commento apparso ieri sulla prima pagina del Global Times, pubblicazione in inglese del Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, è eloquente: “La fine dei War Games sono un grande passo per la penisola”, riferendosi alla possibilità, annunciata da Trump, di sospendere le esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seul. Esercitazioni che la Corea del nord trova provocatorie, ma che non sono mai andate giù nemmeno a Pechino. Il percorso per la pace con Pyongyang è ancora lungo, ma finalmente, ieri, abbiamo scoperto con chi stiamo trattando davvero.
Dalle piazze ai palazzi