Il gruppo Visegrád vuole blindare i Balcani, ma senza infastidire Berlino
A Budapest il contro summit di Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, che insieme all’Austria cercano una posizione condivisa sull'immigrazione
Quella piccola Europa che si sta gonfiando dentro la grande Europa, facendosi portatrice di un’ideologia sovranista che ha molti adepti anche nel governo italiano gialloverde, oggi si è incontrata a Budapest. Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, i quattro paesi europei di Visegrád, hanno invitato anche l’Austria per parlare di immigrazione e comporre una dichiarazione congiunta da opporre alle proposte degli altri paesi europei. Orbán, il padrone di casa, Mateusz Morawiecki, il premier polacco, Andrej Babis, il primo ministro ceco e lo slovacco Peter Pellegrini si sono accordati assieme a Sebastian Kurz sul futuro della rotta balcanica e si sono impegnati a rafforzare la cooperazione con i paesi dei Balcani per proteggere i confini e bloccare i flussi migratori. Per fare dei Balcani una fortezza, Visegrád offrirà personale e mezzi. Anche Kurz, che era un ospite, ha firmato la dichiarazione e durante il discorso ha dimostrato di essere d’accordo con le posizioni dei suoi omologhi est europei, pur sapendo di non essere uno di loro.
Ma Visegrád non può permettersi intenzioni troppo bellicose, e forse a dimostrarlo è proprio la presenza di Kurz, premier austriaco che, per ragioni di geografia e interessi, non può prescindere dalla presenza tedesca. Lo stesso vale per i paesi est europei. Nonostante lo scalpitio sovranista e la rabbia anti tedesca, i paesi di Visegrád sanno di avere bisogno di Berlino. I dati non possono essere ignorati, sicuramente non da Morawiecki e Orbán: quella piccola Europa entrata in blocco nell’Unione nel 2004 ha delle relazioni commerciali importanti con la Germania, senza contare gli investimenti che hanno permesso al gruppo di registrare una crescita quasi prodigiosa. Kurz andrà a Bruxelles domenica, lui è stato invitato, mentre gli altri non sono stati chiamati dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, anche se hanno fatto sapere che comunque non avrebbero risposto all’invito. A Bruxelles, il premier austriaco forse porterà anche le istanze dei suoi ospiti, ma dal contro summit di Budapest è uscita tanta debolezza: quell’Europa schiacciata tra est e ovest, che rigetta le quote sui migranti, che alza la voce, non ha intenzione di far saltare l’Europa. Vuole i confini, ma li vuole esterni. Ama Schengen perché è parte del successo delle economie dell’area e sa che è meglio non far arrabbiare troppo Berlino.