E se Visegrád si spaccasse prima dell'Ue?
La riforma della Giustizia polacca non piace nemmeno a slovacchi e cechi
Cosa ne sarà della Polonia, si vedrà. Per ora ci sono le vacanze e i concerti dei Rolling Stones con Mick Jagger che in polacco cerca di difendere la magistratura. La presidente della Corte suprema, Malgorzata Gersdorf, che il governo vuole mandare in pensione anticipata, è in ferie e tutti, anche il giudice che il PiS ha nominato al suo posto, la difendono. Varsavia prende tempo, e rinvia le audizioni in sede europea in cui è chiamata a spiegare in che modo la riforma della Giustizia è compatibile con lo stato di diritto. La Commissione Ue ha minacciato di attivare la procedura dell’articolo 7 che priverebbe la Polonia del suo diritto di voto all’interno delle istituzioni Ue, ma l’iter è ancora lungo.
Il rapporto tra la Polonia e l’Unione è tormentato ormai da alcuni anni, dal 2015 quando il PiS ha vinto le ultime elezioni. Da allora, Varsavia punta i piedi, fa i capricci, vara riforme autoritarie e l’Ue le va incontro, ben sapendo che attivare una procedura sanzionatoria contro uno stato membro non è cosa semplice. L’ultima volta era stato il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, ad andare dal primo ministro, Mateusz Morawiecki, per dissuaderlo dal portare fino in fondo la legge che riforma la Corte suprema. Ma Timmermans è tornato a casa parlando della necessità di un “compromesso”. L’ultimo incontro tra governo polacco e istituzioni europee è stato a fine giugno. Varsavia ha cercato di convincere l’Europa che la riforma della Giustizia non lede in alcun modo lo stato di diritto, aiuta solo a epurare la magistratura da quei “giudici più anziani ancora legati alla vecchia classe comunista”. Per Varsavia la questione poteva anche finire lì, ma i partner europei hanno deciso di convocare la Polonia ancora a settembre davanti al Consiglio affari generali. Tra tutti i paesi europei solo l’Ungheria ha cercato di tutelare la posizione polacca. Per tutti gli altri, le argomentazioni fornite dalla Polonia sullo stato di diritto e i rapporti con la magistratura non erano state sufficientemente esaustive. Per tutti, anche per l’altra metà di Visegrád. Repubblica ceca e Slovacchia, che sono pronte a supportare Ungheria e Polonia sulla questione immigrazione, non condividono invece la svolta autoritaria dei loro governi. Che l’Unione europea fosse un’entità con al suo interno tante correnti, spesso in contrasto tra loro, è un dato ormai vecchio. Il caso polacco, però, insegna che anche queste correnti in quanto a coesione non sono messe meglio.