Una pace che ci riguarda
Finisce il conflitto tra Etiopia ed Eritrea, ma non finiscono i problemi
Nel giorno dei cento anni dalla nascita di Nelson Mandela, l’Ethiopian Airlines ha riaperto il collegamento diretto con la capitale dell’Eritrea, Asmara. E’ il primo passo verso la normalizzazione dei rapporti diplomatici, dopo lo storico annuncio il 9 luglio scorso della fine di una guerra che per vent’anni ha diviso i due paesi dello strategico Corno d’Africa. Il presidente dell’Eritrea, Isaias Afewerki, e il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, sono i primi due capi di stato a incontrarsi dall’inizio del conflitto nel 1999: Abiy è volato ad Asmara, e poi subito dopo il leader eritreo è andato ad Addis Abeba, e ha annunciato la riapertura dell’ambasciata. E’ stato dato il via a una “nuova èra di pace e amicizia”, dopo che per anni i cittadini di entrambi i paesi erano stati costretti a considerare gli altri nemici, e attraverso i confini non si passava, né via terra né via mare, e le linee telefoniche erano interrotte. Ieri, quando il primo volo è partito da Addis Abeba ed è volato ad Asmara, i primi passeggeri a bordo sono stati accolti con rose rosse e sorrisi, l’Ethiopian Airlines ha pubblicato una fotografia dei due piloti di questo “storico volo”, e nel frattempo in Eritrea venivano rilasciati centinaia di detenuti. E’ successo tutto in fretta, ma sono già molti i progetti economici sul tavolo che coinvolgeranno Eritrea ed Etiopia. Quest’ultima, alleata storica degli Stati Uniti e con un pil in crescita da 72 miliardi di dollari l’anno, avrà la responsabilità di far ripartire anche la fragile economia eritrea, dove tutto si regge quasi solo sullo sfruttamento (altrui) delle miniere d’oro.
Quando si abbatte un muro è sempre un segnale positivo, e in questo caso sembra quasi che dal nostro “aiutiamoli a casa loro” i due paesi abbiano imparato una lezione: ci aiutiamo da soli. Eppure l’Eritrea resterà il paese africano che produce il maggior numero di richiedenti asilo, anche in Italia, per molto ancora. La pace con l’Etiopia non significa che gli eritrei non scapperanno più: non lo faranno dalla guerra, ma lo faranno dall’estremismo islamico, dalla povertà. Adesso sta alla comunità internazionale, e anche all’Italia – che ha una considerevole presenza di business in Etiopia – riconoscere le responsabilità dell’occidente e trovare una strategia comune per aiutare questa pace. Perché duri, e perché ci sarà bisogno di tempo e pazienza per vederne i frutti.