Perché il laburista Corbyn assomiglia un sacco a Trump
Il Labour va avanti con “Uk first”, più industria e meno servizi, più contratti ad aziende inglesi che straniere. Le similitudini con il programma trumpiano
Milano. Il mio non è nazionalismo economico, “è buon senso”, ha detto ieri il leader del Labour britannico Jeremy Corbyn parlando a Birmingham della sua visione economica del futuro industriale del Regno Unito post Brexit. Di tornare indietro, rispetto al divorzio, non se ne parla, si va avanti con “Uk first”, più industria e meno servizi, più contratti ad aziende inglesi che straniere, “sosteniamo il nostro tessuto imprenditoriale invece che star qui a testimoniarne il declino”. Già alla vigilia del discorso molti commentatori parlavano del “trumpismo corbyniano” che sembra una contraddizione ma non la è. Proteggiamoci da quel che sta fuori – tendenzialmente chi sta fuori è un approfittatore, uno “scroccone” per usare termini trumpiani – e anche un po’ dall’assalto del settore privato, dice Corbyn, per rinvigorire la manifattura britannica. “Nessuno mi ha mai detto che assomiglio a Trump”, ha detto il leader laburista, ribadendo la sua contrarietà al “pensiero magico” della globalizzazione e della cultura dei servizi. Ma se già il protezionismo dell’ex candidato democratico americano Bernie Sanders pareva in molti modi simili a quello di Trump – Sanders lo ammise senza troppi problemi – figurarsi se non ci assomiglia quello di Corbyn che parla di “inglesi prima” e di protezione dagli assalti stranieri.
"Socialism” è tra le parole più popolari del Regno Unito, e Corbyn intercetta e rappresenta molto bene questo trend: poi però c’è la Brexit, e le parole sospettose che il leader laburista ha detto ancora ieri sull’Ue confermano il suo euroscetticismo, pure questo molto trumpiano. Ma gli effetti sulla popolarità non sono sempre positivi: un sondaggio YouGov di una settimana fa chiedeva “chi è il miglior premier per il Regno?”. Il 33 per cento dice Theresa May, attuale premier, il 25 per cento dice Corbyn e il 38 per cento, cioè la percentuale maggiore, dice “non lo so”, nessuno dei nominati.