Medicina non è femmina
A Tokyo test d’ingresso truccati in facoltà per chiudere alle donne. Conviene?
La Tokyo Medical University della capitale giapponese, fondata prima della Seconda guerra mondiale, è una specie di istituzione delle facoltà di Medicina, e come accade spesso in Asia fonda il suo prestigio sulle difficilissime prove d’ingresso. Eppure da qualche mese l’Università è al centro di uno scandalo che coinvolge i suoi funzionari e la formazione dell’élite nipponica. Dopo un caso di corruzione da parte del presidente e del direttore generale dell’ateneo, che avevano preso delle mazzette per far entrare il figlio di un imprenditore, una commissione d’inchiesta ha iniziato a indagare più a fondo. E ha scoperto che sin dal 2010 agli aspiranti dottori femmine vengono sistematicamente decurtati – proprio per il fatto di essere donne – il 10 o il 20 per cento dei punti.
Il motivo è facilmente intuibile: volevano tenere la presenza femminile nella prestigiosa Università sotto al 30 per cento, senza però nulla dire alle ignare studentesse. Secondo il collegio dei medici, riporta il Japan Times, “le dottoresse spesso si dimettono o prendono lunghe pause dopo il matrimonio o dopo la nascita di un figlio, creando dei problemi”. L’aspetto più interessante di questa vicenda – che si risolverà presto, hanno detto a Tokyo – è che spiega alla perfezione perché la “parità di genere” non è una questione femminista, di principio, ma semplicemente un Sistema economico che funziona. Che conviene. Il calo demografico giapponese è arrivato a un livello tale che oggi il sistema sanitario nazionale non può assicurare abbastanza medici internisti, soprattutto nelle campagne. Per far tornare le donne al lavoro – come vorrebbe la strategia del primo ministro Shinzo Abe – basterebbe non fregarle, e lasciarle studiare come gli uomini.