Il Regno Unito ha un guaio con croci e burqa
Sono entrambi simboli religiosi, ma uno dei due è soprattutto oppressione
L’ex ministro degli Esteri inglese, Boris Johnson, è sotto indagine: il Partito conservatore britannico ha infatti annunciato un’inchiesta da parte di un comitato interno per eventuali violazioni del codice di condotta da parte di Johnson. Il motivo? Qualche giorno fa sul Daily Telegraph aveva definito il velo integrale, il burqa o niqab, un simbolo di “oppressione”, e aveva paragonato sarcasticamente le donne che lo indossano a dei “rapinatori di banca” e alle “cassette per le lettere”. Il linguaggio di Johnson è quello che è, e dovremmo essere abituati (vaccinati?) ai truci personaggi della politica contemporanea. Ma le parole di Johnson dovrebbero servire anche a un’altra riflessione.
Se il 60 per cento dei conservatori inglesi pensa che il burqa dovrebbe essere bandito dai luoghi pubblici, all’interno del Partito c’è chi la pensa diversamente, e lo fa con parole e argomentazioni magari più pacate, ma che nascondono una trappola inevitabile. La leader del partito conservatore scozzese, Ruth Davidson, replicando alle dichiarazioni di Boris Johnson, ha detto che “chi indossa il burqa dovrebbe essere difeso nello stesso modo in cui si difendono i cristiani che indossano un crocifisso”. Vuol dire che non c’è alcuna differenza tra simboli cristiani e simboli islamici, perché ognuno è libero di professare qualsivoglia religione. Ma c’è una differenza da considerare. Se nel nome del politicamente corretto qualcuno è costretto a dire che un simbolo di sottomissione, di violazione delle libertà individuali, è un simbolo religioso, vuol dire che quella religione si scontra con gli inviolabili valori occidentali. La croce e il burqa non sono la stessa cosa.