Lo choc canadese di Bin Salman
La disputa surreale tra Riad e Ottawa mostra che le riforme saudite sono limitate
La storia della gran disputa diplomatica consumatasi in questi giorni tra Arabia Saudita e Canada è sorprendente e surreale. La settimana scorsa Chrystia Freeland, ministro degli Esteri canadese, ha condannato l’imprigionamento di Samar Badawi, un’attivista saudita per i diritti umani che ha alcuni parenti in Canada, e chiesto la sua liberazione. Mossa non gradita a Riad, ma tutto sommato usuale: l’Arabia Saudita è un violatore seriale dei diritti umani, e i richiami da parte della comunità internazionale sono frequenti. Questa volta, però, qualcosa è scattato nell’establishment del regno. A partire da lunedì, con una serie di tweet e comunicati a raffica, Riad ha annunciato l’espulsione dell’ambasciatore canadese, congelato accordi di scambio commerciale, cancellato un programma di scambio studentesco e chiuso i voli della compagnia di bandiera verso il paese nordamericano. Martedì, i media sauditi hanno attaccato furiosamente il governo di Ottawa, e ieri gli operatori finanziari sauditi hanno ricevuto ordine di vendere tutti i loro investimenti in asset canadesi “a qualunque costo”. E’ una reazione abnorme, con cui evidentemente il principe della corona Mohammed Bin Salman, che domina de facto il regno, ha voluto dare l’esempio: non fateci arrabbiare. E’ anche uno choc per gli investitori e gli alleati occidentali, che negli ultimi mesi hanno visto le riforme in senso liberale di Bin Salman come la prova che l’Arabia Saudita si stava definitivamente aprendo. Non così in fretta: un’autocrazia non si disfa in pochi mesi, e Bin Salman usa il vocabolario del liberalismo in maniera molto selettiva.