I sanguinosi passi indietro di Riad
Il regno saudita condanna a morte la sua prima attivista donna. E le riforme?
L’Arabia Saudita è sul punto di stabilire un nuovo primato nella violazione dei diritti umani: sta per condannare a morte per la prima volta un’attivista d’opposizione di sesso femminile, che assieme ad altri quattro compagni rischia di essere giustiziata con accuse “legate esclusivamente al loro attivismo pacifico”. La donna si chiama Israa al Ghomgham, è in carcere dal 2015 e ieri Human Rights Watch ha denunciato che Riad si sta preparando a giustiziarla per reati come: partecipare a una manifestazione, intonare slogan ostili al governo, cercare di aizzare l’opinione pubblica e filmare le proteste con il fine di pubblicare i video sui social media. Non esattamente il curriculum di un individuo pericoloso per la tenuta sociale. Che Riad si possa macchiare di questa violazione aberrante è particolarmente sconfortante in questo frangente politico.
Da mesi il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annunciato riforme per liberalizzare l’economia e, in piccola parte, anche la società del regno saudita. Alcuni passi incoraggianti erano stati fatti, specie nei riguardi delle donne, alle quali era stato concesso di guidare l’automobile e di frequentare i cinema e gli stadi. Ma dopo la terrificante disputa diplomatica con il Canada, reo di aver criticato il regno per la violazione dei diritti umani, ecco arrivare un altro cattivo presagio per chi sperava che bin Salman sarebbe stato in grado di cambiare le sorti dell’Arabia Saudita: o il principe è troppo debole contro l’opposizione conservatrice, oppure lui stesso ha ripudiato le sue promesse.