In Niger toccherà a noi
Trump vuole disimpegnarsi in Africa. Più responsabilità per Italia ed europei
Il Pentagono sta considerando l’idea di ritirare tutte le proprie forze speciali dal Niger, di chiudere gli avamposti militari americani in Tunisia, Libia, Camerun e Kenya, e di richiamare sette delle otto unità antiterrorismo che operano in Africa. Il generale Mattis, segretario alla Difesa, deve ancora dare l’approvazione finale al piano, ma molti esperti dicono che lo farà, a causa del blitz disastroso che ha coinvolto le forze americane in Niger, perché le priorità dell’Amministrazione, in termini di sicurezza, riguardano più la Russia e la Cina, e perché Mattis ha meno dimestichezza con le forze speciali, che negli ultimi anni sono state l’asset principale di intervento americano nella regione. Rimarrà una presenza militare robusta in Somalia e Nigeria, ma non è previsto al momento la sostituzione delle forze speciali con nuove truppe.
Secondo alcune voci raccolte dal New York Times, questo ritiro potrebbe mettere a rischio i risultati raggiunti nella lotta contro al Qaida e gli affiliati dello Stato islamico, e soprattutto interrompe quel lavoro sul campo che è strategico in termini di intelligence e di prevenzione. Mattis potrebbe preferire una strada più graduale, ma il segnale che arriva da Washington è chiaro: un disimpegno in queste zone da parte dell’America implica necessariamente uno sforzo maggiore da parte dei governi africani e dei loro alleati: per controllare il territorio, per combattere il terrorismo, per bloccare il traffico di uomini che poi arrivano in Europa. Tra gli alleati più esposti al pericolo dell’assenza americana c’è l’Italia, che dovrà dotarsi di una strategia per gestire le sue operazioni in Africa.