Il Giappone resiste al "pugno dal cielo"
Il paese martoriato ha comunque una lezione per l’occidente lagnoso
Il Giappone sta vivendo uno dei periodi più difficili dal 2011. Sembra che tutte le forze della natura si siano scatenate contro l’arcipelago asiatico, che nel giro di due mesi ha subìto di tutto. Il 18 giugno scorso un terremoto di magnitudo 6,1 della scala shindo, cioè la scala di misurazione giapponese, nell’area del Kansai ha fatto 5 morti e quasi quattrocento feriti. Poco dopo, tra la fine di giugno e l’inizio di luglio, un’estesa zona del Giappone è stata interessata da piogge alluvionali che hanno provocato inondazioni e frane. I morti, questa volta, sono stati 225 in quindici diverse prefetture. Nel frattempo era arrivato il caldo: le temperature nel mese di luglio sono state così alte in tutto l’arcipelago che il governo in alcune aree ha dovuto dichiarare lo stato di calamità naturale, e sono una novantina le persone decedute per problemi legati al clima torrido, per lo più anziani. Dopo il grande caldo, è arrivato il tifone Jebi, e non se ne vedeva uno così forte da venticinque anni. Una decina di morti, l’aeroporto del Kansai isolato, tetti delle case scoperchiati, i vetri dei palazzi in frantumi. Infine, ieri, un terremoto del settimo grado della scala shindo ha colpito l’Hokkaido, l’isola più a nord del Giappone, facendo nove morti. La forza della natura colpisce il Giappone, e nello strazio di alcune immagini c’è una cosa che dovremmo imparare. Durante le interviste dei giornalisti televisivi ai colpiti dalle catastrofi, nessuno urla. Nessuno se la prende con l’amministrazione di turno. Qualcuno, a volte, piange. E’ l’accettazione confuciana degli eventi della natura, “il pugno dal cielo” contro il quale l’uomo nulla può, se non ridurre il rischio e i danni. E senza cercare per forza un colpevole.