Su Kavanaugh un rapporto che non risolve nulla
L’Fbi non rileva “cattiva condotta”, il giudice nominato da Trump verso la nomina alla Corte Suprema
L’inchiesta dell’Fbi sul caso di Brett Kavanaugh, il giudice nominato da Trump alla Corte suprema e bloccato da accuse di violenze sessuali, doveva essere chiarificatrice – anche se è durata cinque giorni – e portare come sempre succede dopo i momenti di chiarezza un minimo di pace. Invece ha portato un aggravio di polarizzazione e di rabbia nella politica americana, che non ne aveva bisogno. Già era partita male perché si era concentrata soltanto su quattro persone su indicazione della Casa Bianca, poi diventate dieci, che però non includono molti che dicono di avere informazioni e vorrebbero essere sentiti, e tra loro c’è anche la testimone principale del caso, la professoressa Christine Blasey Ford, che non è stata sentita. Il rapporto arrivato ai senatori non ha nessun elemento che può bloccare la nomina di Kavanaugh, ma non sarà reso pubblico ed è stato dato ai senatori in una copia soltanto, il che vuol dire che cento fra repubblicani e democratici stanno facendo i turni per leggerne almeno alcune pagine – ma il voto sulla nomina in commissione è domani mattina (5 ottobre ndr) e in Senato sarà sabato, quindi il tempo non basterà. Trump ama dipingere l’Fbi come un’organizzazione ostile, in questo caso il rapporto fornirà una copertura ai senatori titubanti. Ma fuori dal Congresso la polarizzazione resta (la petizione online per bloccare Kavanaugh è arrivata a un milione di firme) e mancano trentuno giorni alle elezioni di metà mandato. I democratici sperano di sfruttare questa storia per spingere le donne al voto, Trump invece vorrebbe usare il caso per chiamare a raccolta tutti gli elettori arrabbiati che si sentono minacciati “dai piani dei Clinton”, come ha detto il giudice durante la deposizione.
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