Manfred Weber (foto LaPresse)

Il rapporto tra Weber e Orbán, i numeri, le idee e la variabile tedesca nel Ppe

Micol Flammini

L’espulsione del premier ungherese dipende dai tedeschi e il futuro del Partito popolare europeo “potrebbe essere senza Fidesz”

Roma. Pur avendo rivendicato a più riprese di essere stato tra coloro che l’autunno scorso avevano votato a favore di una risoluzione del Parlamento europeo per l’avvio di una procedura di infrazione contro l’Ungheria, Manfred Weber non riesce a scrollarsi di dosso il peso di Viktor Orbán. Nel suo Ppe non si parla d’altro, il primo ministro ungherese deve andarsene, ma per il momento ad aver chiesto a Joseph Daul, presidente del Partito popolare europeo, l’espulsione di Fidesz, sono state sette formazioni minori: i partiti cristiano-sociali fiamminghi, valloni e lussemburghesi, la Cds portoghese, la Cda olandese, il finlandese Kokoomus, la Nea Demokratia greca e i moderati svedesi. Saranno però i tedeschi a determinare le sorti di Viktor Orbán, che verranno decise a breve, il 20 marzo, durante l’assemblea della grande famiglia europea di centrodestra. Manfred Weber è il candidato del Ppe alla presidenza della Commissione europea, fino a qualche mese fa era convinto che nonostante tutto Orbán, nonostante gli attacchi all’Unione europea, le campagne anti Soros, dovesse rimanere dentro al Ppe. Lasciarlo andare, così sosteneva il politico bavarese fino a qualche giorno fa, sarebbe stato un errore. Nel 2009 il Partito popolare aveva lasciato andare via David Cameron che aveva fondato con i suoi Tory l’Alleanza dei conservatori e riformisti europei, piccolo e ostinato covo dell’euroscetticismo che ospita anche il PiS polacco e Fratelli d’Italia. Senza quella decisione, se soltanto i popolari fossero stati più pazienti con Cameron, la Brexit non ci sarebbe stata, ha spesso sostenuto Weber. Ma Viktor Orbán non è Cameron e la sua Ungheria non è la Gran Bretagna: a lasciare l’Ue non ci pensa neppure. Ha anche smesso di minacciarlo. Manfred Weber è lo spitzenkandidat, il leader del Ppe candidato alla prossima presidenza della Commissione europea, vuole prendere il posto di Jean-Claude Juncker e in questi giorni è a Passu in Baviera, a una conferenza della Csu, dove si parla di campagna elettorale, di progetti per rilanciare l’Europa e di Orbán. 

 

   

Ma più che del primo ministro ungherese si parla di Weber stesso e del suo rapporto con Orbán, finora da lui protetto. Qualcosa è cambiato e ieri in Baviera ha detto chiaramente che Fidesz rischia di essere espulso e alla Bild ha dettato tre condizioni che il premier ungherese dovrà rispettare entro un mese, altrimenti verrà cacciato: fermare la campagna contro Bruxelles; scusarsi con i colleghi del Ppe e permettere alla Central European University di tornare a Budapest. Il premier ungherese però non sembra avere intenzione di farla finita, e alla Welt ha detto che toglierà i manifesti contro Soros e contro Juncker e probabilmente il prossimo bersaglio sarà Timmermans, il leader dei socialisti. Se Fidesz cambierà i suoi bersagli, che sia il Ppe o che sia il Pse i valori europei sono gli stessi e non potrà attaccarli. Il Partito popolare in questi giorni è in tensione, espellere Orbán non sarà una questione di grandezza, non saranno quegli undici – o forse tredici nella prossima legislatura – deputati a sottrarre peso al Ppe. Weber ha abbandonato i toni morbidi delle scorse settimane, quando ancora pensava che tenere gli ungheresi al caldo dentro il Partito popolare li avrebbe condotti verso una normalizzazione. Ma Budapest non ha intenzione di abbandonare il Ppe, e la sua posizione è invidiata da tutti gli altri populisti e se mai Orbán abbandonerà la famiglia di centrodestra dipenderà dai tedeschi e da Weber. Alcuni deputati hanno accolto con favore il cambio di tono dello spitzenkandidat nei confronti di Orbán, altri hanno detto che si è ravveduto troppo tardi. Ma tra i toni allarmati, tra le accuse, gli scontri tra le linee di pensiero quello che emerge è che forse il colpo di grazia a Fidesz questa volta arriverà.

 

Finora i conservatori tedeschi hanno protetto Orbán, in nome di quel legame storico, che dura da decenni, è iniziato con Kohl, è proseguito con Merkel. Weber era intenzionato a continuare sulla stessa linea, aveva vissuto come un tradimento la decisione di Fidesz di espellere la Ceu dall’Ungheria, “mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto”, aveva detto il politico bavarese a dicembre. Invece Orbán lo ha fatto, ha cacciato un’università dall’Ungheria perché era stata fondata da Soros e continuava a essere finanziata dal miliardario. I populisti attendono il primo ministro ungherese, sperano che venga espulso, anche se lui ha messo in chiaro che con loro non vuole andare. Intanto su Weber pendono le tensioni di un partito che anche dopo le elezioni del 26 maggio si riconfermerà la più grande famiglia europea, con o senza Orbán. Ma non è questione di numeri, è questione di idee.