La guerra in Ucraina è già letteratura e racconta che anche Mosca è lì
Tre libri di tre autori russi che sono stati nel Donbass a combattere e a scrivere smentiscono la versione del Cremlino
Roma. Non ci era ancora venuto in mente di scomodare la letteratura per avere la prova della presenza della Russia nel Donbass, nella regione orientale dell’Ucraina dove da cinque anni, nelle Repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk, va avanti una guerra che ha fatto più di diecimila morti (dati Onu). Combattono i separatisti che vorrebbero essere annessi alla Russia, combattono gli ucraini che invece questa annessione non la vogliono, e combattono i russi, anche se Mosca continua a dire di no. La guerra nel Donbass, perché di guerra si tratta, va avanti da cinque anni ed è stata al centro della campagna elettorale per le presidenziali in Ucraina. Volodymyr Zelenski, Il candidato che si oppone a Petro Poroshenko, presidente in carica, ha detto che è disposto a trattare con la Russia per far cessare il conflitto e il Cremlino gli ha risposto sbarrando gli occhi, ripetendo che Mosca non ha alcun ruolo.
Eppure quella guerra è ovunque, anche nelle pagine dei libri, come ha notato qualche giorno fa Ilya Barabanov, giornalista del servizio russo della Bbc, che ha selezionato tre opere uscite in questi anni, scritte da tre autori russi, che parlano della guerra nelle regioni orientali dell’Ucraina. Tutti e tre ci sono stati, due dei tre ci hanno combattuto perché credono di dover aiutare i filorussi e poi hanno raccontato quel conflitto. La prima opera citata da Barabanov è “Non tutti vanno all’inferno” di Zakhar Prelepin. Prilepin è uno scrittore dal passato politico tormentato, prima dalla parte di Vladimir Putin, si muove ora negli ambienti nazionalisti.
Nel libro racconta la sua esperienza a Donetsk, in un battaglione creato per sua iniziativa al fianco del leader Alexander Zakharchenko, morto lo scorso anno. Prelepin racconta chi c’era e chi non c’era e ironizza sulle dichiarazioni di Mosca e sulle smentite riguardo alla presenza dell’esercito russo. “Se ci sono russi – ha sempre detto il Cremlino – sono o pensionati o turisti”. Racconta di telefonate tra Putin e Zakharchenko, di proposte di scambi di prigionieri e di una richiesta avanzata da Zakharchenko poco prima di morire, il comandante voleva incontrare il presidente russo e ne aveva parlato con Prilepin.
“Gli 85 giorni di Slovyansk” è il libro di Alexander Zhuchkovski, nazionalista anche lui, è arrivato nel Donbass nel 2014 e ha raccolto soldi per armare i separatisti e preparare l’assedio della città di Slovyansk. All’assedio, durato tre mesi, l’esercito russo non ha preso parte, ma Zhuchkovski scrive che quando ormai i soldati ucraini stavano per vincere contro i separatisti, Mosca si è decisa a inviare in segreto armi e uomini. Attraverso quel confine poroso, passavano i russofili che preferivano scappare verso la Russia piuttosto che sopportare ancora quella guerra, e passavano anche le armi inviate dal Cremlino. I capi dei vari battaglioni avevano i loro referenti a Mosca, che nel redistribuire le armi – carri armati, mortai, fucili, mitragliatrici – secondo Zhuchkovski, facevano anche qualche preferenza.
L’ultimo libro presentato dal giornalista della Bbc è un reportage. Igor Rotar è un giornalista russo che in “Guerre di un impero crollato” paragona il Donbass alle altre guerre civili lungo i confini russi. C’è un paragone sul quale insiste molto ed è quello con la Transnistria, ha seguito anche quel conflitto, e arriva alla conclusione che entrambe le guerre sono culturali, partono da ansie sociali, da nostalgie sovietiche e sono alimentate dal Cremlino. Sono libri, sono racconti e non sono prove, ma i tre autori, nelle loro sfaccettature politiche, nelle loro spigolature controverse, hanno comunque raccontato di essere stati lì, a combattere (o a veder combattere) nell’Ucraina dell’est. In Ucraina c’è la guerra, i russi c’erano e la loro presenza è già letteratura.