La guerriglia di Trump
Certi negoziati con la Cina buttati via Twitter e un metodo che non funziona
La guerra commerciale è solo propaganda; la guerra dei dazi è solo “un’arma tattica”; la trade war tra Cina e America è solo fuffa. Da quando il presidente americano Donald Trump ha iniziato un incoerente balletto politico per diminuire, e giustamente, gli effetti di alcune pratiche predatorie cinesi, sulla battaglia tra Pechino e Washington si sente periodicamente minimizzare. E’ il caso di farlo? Quello che è successo lunedì ci induce a pensare che non sia il momento. Trump applica il “walk away” usato nei negoziati con la Corea del nord di Kim Jong Un un po’ con chiunque, com’è nel suo stile. I negoziati tra America e Cina sembravano arrivati a un punto di svolta, con una delegazione di altissimo livello, guidata dal vicepremier Liu He, pronto a salire su un aereo per Washington per dare il via a quello che molti analisti pensavano fosse “l’ultimo round”.
The United States has been losing, for many years, 600 to 800 Billion Dollars a year on Trade. With China we lose 500 Billion Dollars. Sorry, we’re not going to be doing that anymore!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) May 6, 2019
Inaspettati, però, sono arrivati domenica due cinguettii del commander in chief, che ha annunciato l’aumento delle tariffe sulle importazioni cinesi dal 10 al 25 per cento a partire da venerdì. Certi ultimatum in negoziati simili sono sempre esistiti, il problema è che tutto ciò che si negozia, adesso, è fatto pubblicamente. Sulle questioni economiche le conseguenze sono ampiamente visibili: lunedì la Borsa di Shanghai ha perso il 5,58 per cento, quella di Hong Kong il 2,9 per cento, tutte le Borse europee hanno chiuso in negativo (Piazza Affari ha aperto al -2,05 per cento e ha chiuso all’1,63). Donald Trump è periodicamente alla ricerca del Grande nemico da schiaffeggiare nella pubblica piazza (e i risultati con la Corea del nord, che ha effettuato il primo test balistico dopo 18 mesi, sono sotto gli occhi di tutti), la Cina si attrezza (secondo l’analista economico Patrick Zweifel, “Le sanzioni hanno indotto Pechino ad accelerare le riforme e a disporre misure di stimolo, compresi tagli fiscali, spesa per le infrastrutture e allentamento monetario, per un valore di 2.800 miliardi di renminbi”), è il resto del mondo a perderci di più.