Liberi!
Dopo 551 giorni in Myanmar i due reporter di Reuters escono di prigione
Oggi i due giornalisti di Reuters, Wa Lone, di 33 anni, e Kyaw Soe Oo, di 29, sono stati liberati in Myanmar dopo 551 giorni di prigione. Erano stati arrestati il 12 dicembre del 2017 mentre investigavano sull’uccisione di 10 persone della minoranza musulmana rohingya da parte dell’esercito del Myanmar avvenuta nello stato del Rakhine, dove da anni i rohingya subiscono violenze e oppressioni dimostrate anche da report indipendenti delle Nazioni Unite. Per il governo di Yangon il crimine dei due giornalisti è stato quello di possedere documenti riservati – che, sembra, erano stati di proposito consegnati loro da alcuni funzionari dell’esercito – in base a una legge di epoca coloniale sulla sicurezza nazionale.
Per mesi perfino il premio Nobel per la Pace e leader de facto del paese, Aung San Suu Kyi, aveva difeso la loro detenzione in base a norme “giustificabili”, vista la situazione complicata nello stato del Rakhine. Il 23 agosto scorso i due giornalisti avevano perso anche il ricorso in appello, e si preparavano a scontare altri cinque anni nel carcere Insein di Yangon, uno degli istituti usati dal governo per i dissidenti politici, noto per le sue condizioni disumane e dove pare abbia passato molto tempo anche Aung San Suu Kyi. Il fatto è che a poco sarebbero servite le pressioni internazionali e la difesa della libertà di stampa, principio non negoziabile in uno stato di diritto e in un paese nel suo lungo processo verso la democrazia: Wa Lone e Kyaw Soe Oo sono stati infatti rilasciati grazie a un’amnistia che ha coinvolto altri 6.520 detenuti. Erano state effettuate altre due amnistie ad aprile, che avevano portato alla liberazione di 16.500 persone, nessuna delle quali aveva alle spalle sentenze giudicate “politiche”. Wa Lone e Kyaw Soe Oo si sono trasformati nel simbolo delle verità che alcuni governi vorrebbero controllare, mediare, reprimere. Il problema ora resta per tutti gli altri giornalisti e blogger che non hanno avuto la fortuna di uscire da un carcere per dissidenti.