Grazie a Dio c'è l'Europa
La Corte di giustizia fa da argine alla propaganda di Salvini contro i rifugiati
Da una parte c’è il governo gialloverde, che cavalcando l’onda securitaria ostacola e opprime qualsiasi strumento di inclusione sociale dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Lo fa chiudendo i porti, stroncando i sistemi di accoglienza diffusa, criminalizzando chi salva le vite in mare, sfornando decreti sicurezza sempre più stringenti e al limite della costituzionalità. Dall’altra ci sono l’Europa e le sue leggi a tentare di arginare ogni illecita deriva sovranista.
Stavolta, a riportare all’ordine il leghismo del föra di ball è stata la Corte di giustizia dell’Ue, con una sentenza che rema in senso diametralmente opposto rispetto all’intransigenza del Viminale. Dicono i giudici di Lussemburgo che nell’Ue i diritti che i singoli stati devono garantire ai rifugiati sono ben più ampi di quanto professato dalla propaganda del governo italiano. E che quando il ministro dell’Interno ripete ossessivamente di volere rispedire tutti “a casa loro” lo fa senza il sostegno di alcuna base giuridica.
Due sono i punti rilevati dalla Corte: il primo è che nei paesi dell’Ue i diritti dei rifugiati, anche se il loro status è stato revocato per gravi crimini commessi, sono ben più ampi rispetto a quelli garantiti dalla Convenzione di Ginevra. Significa che lo status di rifugiato non decade mai del tutto e che alcuni diritti – la libertà di culto, quella di ricevere un’istruzione e la garanzia di un giusto processo, per citarne alcuni – non vengono meno in nessun caso. Secondo, che la revoca dello status di rifugiato non implica l’espatrio automatico se esiste il fondato sospetto che, in patria, i diritti fondamentali individuali siano messi a repentaglio. Insomma, il mantra propagandistico di Salvini non vale.
Ma anche ieri il vicepremier non ha mancato di usare i consueti toni sferzanti: “Io non cambio idea e non cambio la legge: i ‘richiedenti asilo’ che violentano, rubano e spacciano, tornano tutti a casa loro”. Propaganda, appunto. Perché se l’impatto della sentenza sull’applicazione del decreto sicurezza è ancora difficile da quantificare, un punto resta fermo: gli unici dati davvero rilevanti per motivare l’urgenza del decreto Salvini sarebbero quelli dei reati gravi compiuti dai rifugiati. Ma il Viminale si è sempre rifiutato di diffondere questi numeri.
Cosa c'è in gioco