La Cina ama i conflitti (d'interesse)
Lezioni da imparare dal caso Elaine Chao, che fa la ministra ma pure i fatti suoi
Sulla prima pagina del New York Times di lunedì, quattro tra le migliori firme investigative e asiatiche firmano una lunghissima inchiesta su Elaine Chao. E’ la segretaria ai Trasporti dell’esecutivo di Donald Trump, praticamente (con rispetto per Chao) il Toninelli della Casa Bianca. Dove gravita da parecchio, visto che già con George W. Bush era stata viceministro. Nata a Taipei nel 1961, arrivò in America, la terra delle opportunità, quando aveva otto anni. I suoi genitori sono considerati delle superstar sia nella Cina continentale sia a Taiwan, per aver costruito negli anni una specie di impero a conduzione familiare: la Foremost Group.
Il colosso dei trasporti marittimi è al centro del conflitto di interessi di Elaine Chao, secondo la lunghissima e dettagliatissima inchiesta del New York Times, che riporta i viaggi, gli incontri e le relazioni che la Chao avrebbe coltivato nel corso dei suoi incarichi per il governo, ufficialmente per l’esecutivo, ma in realtà anche per l’azienda di famiglia. Secondo il quotidiano newyorchese, durante la sua audizione per la conferma dell’incarico a ministro dei Trasporti, la Chao non avrebbe parlato “dei legami della sua famiglia con l’industria marittima cinese”, e nemmeno “dei vari riconoscimenti che aveva ricevuto dai cinesi”. L’America si interroga sui problemi etici e politici che comporta un ministro in carica che rompe delle consuetudini (partecipando ai meeting della sua azienda di famiglia con funzionari cinesi, oppure perfino volando con le compagnie aeree cinesi) e ha troppi interessi in Cina, perché sa bene che Pechino è in grado di usare quegli interessi a suo vantaggio. Nel governo attualmente in carica in Italia questo tipo di conflitto d’interessi, al contrario, è stato definito un “vantaggio” al ministero dello Sviluppo economico. Che è lo stesso dicastero che ha pubblicato sul suo sito un’intervista all’ambasciatore cinese in Italia, lo stesso che per alcune informali comunicazioni interne usa il servizio di messaggistica cinese WeChat. Per qualche ragione, però, da noi la cosa passa del tutto inosservata.