Gli scontri tra le truppe di Haftar e quelle di Serraj alle porte di Tripoli (foto LaPresse)

Sovranisti, fermate Haftar

Redazione

Una guerra totale e senza fine a Tripoli va contro l’interesse nazionale

Mentre il nostro ministro dell’Interno si culla ancora nell’idea che la Libia sia “un porto sicuro” , il generale Khalifa Haftar continua nella sua campagna di destabilizzazione del paese. L’offensiva lanciata dal leader della Cirenaica all’inizio di aprile ha di fatto trasformato le migliaia di migranti chiusi nei centri di detenzione in pedine da muovere a piacimento dei due schieramenti impegnati nella guerra civile. Martedì notte l’aviazione di Haftar ha bombardato un centro di detenzione dei migranti nella periferia di Tripoli e ne ha uccisi almeno cinquanta. Secondo alcuni sopravvissuti, i detenuti erano costretti da una milizia locale a lavorare in un deposito di armi vicino al campo dove erano detenuti. L’Onu ha convocato un Consiglio di sicurezza straordinario per decidere se aprire un’inchiesta e se incriminare Haftar per crimini di guerra, ma l’Amministrazione Trump – che potrebbe interrompere questo conflitto in Libia in qualsiasi momento con una dichiarazione dura e facendo pressione sui governi del Golfo e dell’Egitto – ha messo il veto. Dall’altra parte gli uomini del nostro alleato di Tripoli, Fayez al Serraj, sono stati accusati dall’Onu di avere sparato contro i migranti che hanno tentato di approfittare del bombardamento per scappare. Giovedì i media libici hanno riportato le parole del ministro dell’Interno del governo di unità nazionale, Fathi Bashagha, che potrebbero avere un impatto sull’Italia. “Non possiamo garantire la sicurezza dei migranti nei centri di detenzione e stiamo pensando di liberarli”. Poche ore prima, un barcone partito dalla Libia era affondato al largo delle coste tunisine: i dispersi sono un’ottantina, i sopravvissuti sono quattro.

 

 

In Libia serve una posizione chiara. Haftar e i suoi sponsor vanno dissuasi con la massima pressione possibile dall’idea di questa guerra a oltranza, per evitare di assistere all’implosione di un paese a un’ora di volo da Roma. Congelare l’offensiva del generale sarebbe anche nell’interesse di Salvini, cultore a parole della difesa degli interessi nazionali. Ma il tempo è sempre meno: in questa fase, le dichiarazioni vaghe a proposito della Libia non bastano più.

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