Putin non vuole vedere le proteste su YouTube
La Russia chiede a Google di rimuovere le pubblicità delle manifestazioni
Ieri il Cremlino ha espresso per la prima volta il suo parere sulle proteste che da luglio, ogni fine settimana, richiamano i manifestanti per le strade di Mosca (sessantamila lo scorso fine settimana) e l’attenzione della stampa internazionale sulla salute della democrazia russa (i manifestanti chiedono l’ammissione nelle liste elettorali per le elezioni locali dei candidati di opposizione). Attraverso le parole del suo portavoce ha definito le proteste “insignificanti”. Per questo, ha detto Dmitri Peskov, Vladimir Putin non se ne è mai occupato, per questo non sono un affare di stato ma della polizia. Davanti a tanta insignificanza, però, la Roskomnadzor, l’agenzia statale che si occupa di telecomunicazioni, ha chiesto a Google di intervenire, di eliminare le inserzioni che compaiono su YouTube in cui vengono pubblicizzate le proteste o fornite informazioni su dove e quando si terranno le manifestazioni (tutte pacifiche e autorizzate).
In una lettera, la Russia ha fatto sapere a Google che se non prenderà provvedimenti, la sua attività verrà considerata come “un’interferenza straniera” e come il tentativo “ostile” di intromettersi nelle elezioni che si svolgeranno a Mosca l’8 settembre per eleggere la Duma della città. Quest’anno la Roskomnadzor ha già preso provvedimenti contro Google, multandola due volte per un totale di ventimila dollari per non aver rimosso l’accesso a pagine web vietate dal governo, una politica in linea con le nuove leggi del Cremlino per censurare internet e per creare una rete sovrana sul modello cinese. Google non ha commentato l’ultima richiesta dell’agenzia delle telecomunicazioni ma difficilmente potrà sottostare alle richieste della Russia, cancellare la pubblicità delle proteste e accontentare il governo di un paese che sogna una rete internet isolata. Sarà però altrettanto difficile proteggere i dati dei propri utenti e i propri affari con facilità, come è accaduto ad altre compagnie della Silicon Valley, ad esempio Whatsapp, in alcune zone del sud-est asiatico. La Roskomnadzor ha già provato in passato a bloccare, con successo, altre applicazioni, come Telegram, Snapchat e Tinder.