Donald Trump (foto LaPresse)

Goodbye Amerikani

Daniele Raineri

Come si fa ancora a commentare Trump con il vecchio schema anti imperialista? Aggiornarsi

Sono decenni che sentiamo e leggiamo ovunque una spiegazione del mondo che suona più o meno così: l’Amerika guerrafondaia aggredisce e invade altre nazioni un po’ per la sua naturale arroganza yankee, un po’ perché obbedisce al complesso militare-industriale, un po’ per la sete di greggio, un po’ perché fa la guerra su commissione per altri – vuoi Israele vuoi l’Arabia Saudita. E’ la spiegazione imperialista del mondo, che negli anni recenti era stata accolta anche dal movimento grillino – forse soltanto perché andava ancora forte nei commenti sui social media e quindi è diventata la dottrina in politica estera del movimento. Viva Maduro in Venezuela, cercare il dialogo con l’Isis, ritirare subito i soldati dall’Afghanistan e tutto il resto del repertorio (per ora. Magari poi cambiano, chi può dirlo). Con l’arrivo dell’Amministrazione Trump questo schema semi-eterno dell’imperialismo americano è stato stravolto e non funziona più. Si possono discutere meriti e demeriti dell’Amministrazione attuale, ma questa è la situazione. Trump, che incarna l’arroganza americana come mai nessuno prima, è anche un isolazionista che vorrebbe risolvere tutti i conflitti con un paio di colpi diplomatici superspettacolari a favore di telecamere. Incontrare Kim Jong Un sul Trentottesimo parallelo? Fatto. Accogliere i talebani a Camp David? Non è successo, ma soltanto per un soffio. Stringere la mano al presidente iraniano Hassan Rohani a New York? E’ il suo sogno nel cassetto.

 

 

Trump dice che i paesi africani sono dei buchi di merda, vieta l’ingresso negli Stati Uniti a chi ha il passaporto di alcuni paesi musulmani, ha una politica sull’immigrazione durissima che ha causato morti, continua a scrivere tweet infantili e vendicativi, insomma fa una serie di cose che lo fanno sembrare la caricatura del leader cattivo. Ma ha una politica estera che spiazza chi da anni insiste a leggere i fatti sempre con la stessa lente. In questi giorni c’è stato un attacco molto serio da parte dell’Iran contro la capitale della produzione del greggio dell’Arabia Saudita. E’ stata un’operazione militare non rivendicata che ha dimezzato la produzione saudita. Fa parte di una serie di manovre aggressive dell’Iran, che è controllato da un regime che cerca a tutti i costi una via d’uscita dalle sanzioni internazionali. In teoria se lo schema imperialista delle cose fosse vero saremmo già nel mezzo di una guerra. Invece Trump ha detto in pubblico che aspetta di sapere cosa è successo dai sauditi, per poi eventualmente decidere come reagire. In pratica ha preso tempo per far raffreddare la questione. I sauditi intanto hanno detto che vogliono coinvolgere le Nazioni Unite nelle indagini, per meglio approfondire – è ovvio che a dispetto delle decine di miliardi di dollari spesi in armamenti non si sentono all’altezza di un conflitto con l’Iran, soprattutto se Trump è così evasivo. E’ vero che il presidente americano ha autorizzato per due volte raid contro la Siria, come punizione per due massacri con armi chimiche, ma sono stati soltanto due show costosi coordinati con il regime. Il secondo in pratica è stato un’operazione di demolizione controllata di una base in cui non c’era nessuno. A giugno Trump ha autorizzato e poi ha annullato un raid punitivo contro l’Iran, dopo l’abbattimento di un aereo-spia americano. E’ tutto molto chiaro: odia l’idea di una guerra durante il suo mandato. Poi magari cambierà idea, forse soltanto perché vedrà un tweet, ma per ora è così.

 

 

La cosa inspiegabile è che molti continuano a commentare come se non vedessero tutto questo. Durante le operazioni (di poche ore) contro la Siria dicevano che gli amerikani volevano invaderla. Ma chi la vuole, tenetevela ha risposto in pratica Trump. E quando alcune petroliere sono state sabotate nello Stretto di Hormuz, tra maggio e giugno, hanno accusato l’America di essere dietro ai sabotaggi per incolpare l’Iran e scatenare una guerra. Per ora si vede molta riluttanza.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)