La libertà secondo Di Maio
Modello Fight club alla pechinese, ovvero di Hong Kong non devi parlare
L’Italia non vuole intromettersi nelle “questioni interne” di altri paesi, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio quando ieri, da Shanghai dove ha partecipato alla fiera sull’import cinese, gli è stata posta una domanda sulla questione Hong Kong: “Noi non vogliamo interferire nelle questioni altrui e quindi, per quanto ci riguarda, abbiamo un approccio di non ingerenza nelle questioni di altri paesi”. Il capo della nostra diplomazia, però, è la stessa persona che da vicepremier, il 5 febbraio, andò a fare “un salto in Francia” per incontrare i leader dei gilet gialli. Ma ormai siamo assuefatti alle contraddizioni più evidenti (“abbiamo risolto il problema dell’Ilva in tre mesi!” cit.) che quasi facciamo fatica a riconoscere quelle più articolate, ma non meno gravi. Tutti i leader di paesi democratici, in questo periodo, hanno una frase di circostanza pronta per la questione Hong Kong ma che di certo non riguarda il “principio di non interferenza” – che invece è la formula preferita dai funzionari cinesi. Perché se è vero che la situazione politica, nell’ex colonia inglese, è parecchio complicata; se è vero che sia l’Europa sia l’America riconoscono il modello “un paese, due sistemi”, la (sacrosanta) autonomia di Hong Kong è sancita da un accordo siglato nel 1997 tra Pechino e Londra. Eliminare un passo alla volta quell’autonomia significa violare un accordo che tutela tutti, anche le centinaia di imprese italiane a Hong Kong. Poi c’è un principio più grande, universale: i ragazzi di Hong Kong che scendono in piazza da mesi hanno delle richieste precise – l’ultima è una commissione d’inchiesta sulle violenze della polizia, e tutti abbiamo assistito all’escalation testimoniata dai giornalisti internazionali. La polizia ha fatto di Hong Kong una camera a gas, usa le maniere forti, gli arresti come deterrente. Anche tra i ragazzi c’è un fronte violento, ma la maggior parte manifesta la propria preoccupazione nei confronti di uno stato autoritario che sta erodendo l’autonomia della città. Ma la polizia non fa distinzioni.
Essere autorevoli, in quanto rappresentanti delle istituzioni, non significa sfilarsi dai problemi ma affrontarli con delle parole credibili, e non contraddittorie. Ecco quello che Di Maio avrebbe potuto dire senza nemmeno scontentare i suoi amici cinesi: abbiamo strette relazioni con Hong Kong e vogliamo la sua stabilità. Diamo importanza alla sua autonomia, che deve essere preservata secondo le leggi e gli impegni internazionali. Il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e l’indipendenza della magistratura sono essenziali per lo sviluppo di Hong Kong. (E’ la dichiarazione ufficiale dell’Unione europea).
Cosa c'è in gioco