La Regina, BoJo e la Scozia

La regina Elisabetta è andata ieri a Westminster per tenere il discorso sulla prossima legislatura scritto per lei dal governo di Boris Johnson. La Brexit si farà, l’investimento in sanità, istruzione e infrastrutture pure per assecondare le esigenze dei nuovi parlamentari ed elettori conservatori, per l’immigrazione sarà adottato un sistema in stile australiano, a punti: avere un visto per la Gran Bretagna non sarà così semplice. La Regina, senza corona e senza carrozza, ha enunciato il programma di governo con la sua solita sobria impassibilità, mentre i commentatori spiegavano che di fatto Johnson sta dando seguito alle promesse elettorali, e che non c’è troppa sorpresa (a parte quei punti per l’immigrazione che ai cittadini europei fanno un effetto strano, forte e un po’ spaventoso). Semmai quel che c’è è un’assenza, cioè il fatto che non sia stato fatto alcun riferimento alla questione scozzese.

Anche questo era prevedibile: il governo di Londra non ha alcun interesse a parlare di indipendenza, non ce l’aveva prima delle elezioni figurarsi se può averlo adesso che la Scozia è tornata a essere dominio esclusivo dell’Snp di Nicola Sturgeon. Proprio lei ieri, sapendo che la Scozia non sarebbe stata citata dalla Regina, ha tenuto un discorso nella sua residenza a Edimburgo per dire: ho “un mandato popolare” per convocare un secondo referendum sull’indipendenza dopo quello del 2014 vinto dagli unionisti. Il governo scozzese ha pubblicato un documento di 39 pagine che elenca i passaggi per ottenere un nuovo referendum di exit dalla Gran Bretagna. La Sturgeon ha chiesto al governo di Londra di trasferire alcuni poteri al Parlamento scozzese per agevolare il nuovo voto, ma di certo Johnson non li concederà. Finché potrà il premier terrà lontana e remota la possibilità che si concretizzi un’altra volontà popolare poco maneggiabile, polarizzante e in questo caso spacca-Regno.