Vorreste un vicino come il generale libico Haftar dirimpetto all'Italia?
Manda a monte i negoziati organizzati a Mosca da Putin, senza la tregua la missione di interposizione italiana non può partire
Roma. Il generale libico Khalifa Haftar rifiuta di firmare la tregua e lascia al mattino Mosca in direzione della Giordania – e il suo aereo Falcon fa un giro largo per non passare nello spazio aereo della Turchia perché a questo punto, dopo avere fatto fallire il negoziato, il generale si aspetta ogni genere di aggressione da parte dei turchi. Haftar nella guerra civile in Libia è appoggiato da sponsor multipli, la Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, e quindi per ora si può permettere di snobbare la richiesta di uno di loro – il presidente russo Vladimir Putin, che l’aveva invitato a firmare la tregua – e si può permettere anche di sprecare i negoziati di pace più concreti da almeno un anno. Haftar sente che è il momento giusto per insistere con la guerra, si vede in vantaggio sui nemici ed è possibile che gli Emirati Arabi Uniti gli abbiano detto di rifiutare l’accordo e di andare avanti con i combattimenti per prendere Tripoli. L’appoggio che eventualmente non gli darà più Putin glielo daranno loro. Sebbene l’appoggio russo sia più vistoso e sia molto citato sui media, gli emiratini hanno sempre aiutato il generale molto più che Putin. E difatti sempre oggi due grandi aerei da trasporto militare hanno lasciato una base militare delle forze speciali degli Emirati – poco a nord di Abu Dhabi – verso la Libia (però hanno spento i transponder sopra l’Egitto quindi non è possibile sapere con certezza dove sono atterrati). Forse, è un’ipotesi, da adesso in poi gli emiratini manderanno anche combattenti a terra e non più soltanto droni, per aiutare le milizie di Haftar come facevano i mercenari russi della compagnia Wagner.
Il premier di Tripoli Fayez al Serraj aveva già firmato la tregua ma ora non se ne fa più nulla. Serraj è appoggiato dalla Turchia e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che assieme a Putin aveva molto sponsorizzato l’incontro di pace a Mosca, è furioso. Oggi Erdogan ha accusato Haftar di pulizia etnica contro le minoranze non arabe della Libia e ha promesso di dare “una lezione” al generale. Fonti del governo turco rilevano anche – dice il giornalista turco Ragip Soylu – che il fallimento di Mosca è stato imbarazzante per la Russia. Putin appoggia Haftar, ma il libico non risponde agli inviti di Putin, nemmeno fosse un vertice organizzato dall’Italia. E’ una cosa che smentisce tutti i pronostici. Il risultato è che la Conferenza di Berlino annunciata per domenica che avrebbe dovuto semplicemente occuparsi dei dettagli della tregua probabilmente salterà perché se non c’è un accordo è inutile. E questo vuol dire che l’Amministrazione Trump, che ha già avvertito che prenderà posizione soltanto quando vedrà un accordo forte, continuerà a ignorare la crisi libica. Anche l’idea di una forza di interposizione delle Nazioni Unite diventa di nuovo un’ipotesi lontana.
Per noi resta l’interrogativo: vogliamo davvero uno come Haftar a farci da dirimpettaio? Il ministro degli Esteri Di Maio vorrebbe scegliere il generale come puntata vincente, ma ci sono diversi fattori che non tornano. Da un anno il generale settantaseienne rifiuta in modo deliberato ogni negoziato e preferisce aggredire. Nell’aprile 2018 stava così male che fu dato per morto – mentre era in cura in un ospedale di Parigi – e ora si propone come nuovo uomo forte della Libia. Non c’è una chiara linea di successione dopo di lui, forse il figlio – che è una ricetta per il caos. Le sue forze sono un assortimento di milizie, alcune salafite, che sono tenute assieme soltanto dai soldi che Haftar riceve dagli sponsor e dalla prospettiva di ottenere vantaggi a fine guerra. Se non riuscisse a vincere in modo netto, ci sarebbe una semi-guerra in Libia per anni che è la ragione per cui si tentava la strada del negoziato. Fino ad aprile 2019, quando Haftar annunciò che avrebbe preso Tripoli in due giorni.